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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2014 alle ore 13:49.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2014 alle ore 13:54.

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«Loro si danno fuoco e precipitano come suicidi all'inferno. Con noi invece vanno in paradiso da martiri». Sono le parole riferite agli esordi della rivolta in Tunisia e a tutti quei casi in cui, per disperazione, un fedele musulmano si toglie la vita, mentre un seguace della jihad si fa saltare in aria compiendo un attentato. Le pronuncia con una certa disinvoltura lo sceicco Nabil Naim _ fondatore della Jihad islamica in Egitto _in una delle tante interviste proposte nel documentario "Terre d'Islam - Storia delle rivolte arabe", realizzato da Italo Spinelli e Alberto Negri e presentato in anteprima nazionale al Maxxi di Roma.

Il Docu-Film "Terre d'Islam", prodotto da Barter e Istituto Luce, nasce da un'idea del regista Italo Spinelli con la sceneggiatura e le interviste di Alberto Negri, inviato del Sole 24 Ore: raccontare la storia delle rivolte arabe esplose nel 2011 attraverso la chiave narrativa dell'Islam politico, con riferimenti alla storia recente e dell'ultimo secolo del mondo arabo e musulmano.

Il docu-film è lungo 85 minuti ed è stato girato in Tunisia, Libia, Egitto e Iran. Vengono presentati i diversi volti dell'Islam politico, da quelli istituzionali alle correnti più radicali, con interviste a leader e ideologi come Rashid Ghannouchi, fondatori della Jihad islamica come Nabil Naim, l'organizzatore dell'assassinio di Sadat, il gran Mufti della moschea di Al Azhar, insieme a ministri, politici e gente comune. A parlare sono sempre e solo i protagonisti arabi senza alcun inserto di esperti occidentali: una scelta voluta e diretta soprattutto a dare voce proprio al mondo arabo, evitando mediazioni e distorsioni.

Un racconto che dà voce ai protagonisti, limitando, come spiega Spinelli, «l'intervento degli esperti islamisti occidentali». Quelli stessi occidentali chiamati in causa dallo sceicco Nabil Naim per avere sbagliato il movente dell'attentato all'allora presidente egiziano Sadat. Molto più banalmente, racconta Naim, il motivo dell'uccisione del rais non erano gli accordi di Camp David con cui l'Egitto siglò la pace con Israele - come tanti hanno sostenuto - ma il semplice fatto che Sadat aveva in mente di cancellare la Jihad egiziana da lui guidata. A dimostrazione di quanta dietrologia, spesso scorretta, esista nelle analisi degli occidentali.

«Il documentario _ dice Alberto Negri _ coglie un passaggio fondamentale della transizione tra il vecchio ordine dei raìs, ormai abbattuto, e gli sviluppi immediatamente precedenti e successivi alle manifestazioni e al colpo di stato in Egitto che ha eliminato il governo dei Fratelli Musulmani». La parte dedicata all'Iran è stata girata a Teheran e Qom proprio nei giorni dell'elezione del presidente Hassan Rohani, con riferimenti realizzati con materiali inediti sia alla rivoluzione del ‘79 dell'Imam Khomeini che alla rivolta dell'Onda Verde del 2009. Pur non appartenendo al mondo arabo sunnita ma a quello persiano e sciita, l'Iran è stato il primo grande esperimento di rivoluzione islamica che continua ancora oggi: ha esercitato e ed esercita un'influenza fondamentale in tutta l'area musulmana.

L'obiettivo del film è spiegare in maniera comprensibile le tappe dell'Islam politico, i suoi successi e i fallimenti, tentando anche di intravedere gli sviluppi futuri. L'Islam politico è caratterizzato da una forte affermazione sociale cominciata negli anni Venti del secolo scorso con i Fratelli Musulmani ma anche da repentine sconfitte e lunghi periodi di attività militante clandestina. L'11 settembre lo ha portato in maniera traumatica all'attenzione del mondo occidentale e si può dire che abbia segnato gli eventi dell'ultimo decennio in Medio Oriente e sulla sponda Sud del Mediterraneo. Ma questo Islam a volte dai tratti ultra-radicali e terroristici ha anche oscurato e distorto il messaggio oroginale e profondo della religione musulmana: il finale del documentario riserva a questo proposito immagini e parole sorprendenti.

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