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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2014 alle ore 20:15.
L'ultima modifica è del 19 maggio 2014 alle ore 20:18.

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Il cinema americano ancora protagonista al Festival di Cannes: dopo l'ottimo «The Homesman» di Tommy Lee Jones, presentato ieri sulla Croisette, oggi è stato il turno del notevole «Foxcatcher» di Bennett Miller.
Inserito in concorso, il film racconta la vera storia del multimilionario John du Pont, paranoico e schizofrenico, che nel 1996 uccise il campione di wrestling David Schultz.
La vicenda si concentra inizialmente su Mark, il fratello minore di David, anch'egli lottatore di grande successo, che diversi anni prima entrò a far parte della squadra dei "foxcatcher", guidata dallo stesso du Pont.

Più che un semplice film sportivo, l'ultima pellicola di Bennett Miller è un'intensa indagine psicologica sulle relazioni umane, siano esse parentali o tra persone di diversa ascendenza sociale.
Forte della rigorosa sceneggiatura di E. Max Frye e Dan Futterman, «Foxcatcher» non ha cali per tutta la sua durata (circa 130 minuti) e cresce alla distanza grazie anche ad alcune straordinarie interpretazioni: da un efficace Channing Tatum (Mark Schultz) a un irriconoscibile ed eccellente Steve Carell, nei panni di John du Pont.
Il regista Bennett Miller, al suo terzo lungometraggio dopo «Truman Capote» e «L'arte di vincere», non è mai stato così bravo.

Decisamente meno incisivo è, invece, David Cronenberg con la sua ultima fatica «Maps to the Stars». Il film si presenta come una satira sul mondo di Hollywood: protagonisti sono i Weiss, una famiglia di grande successo mediatico di cui fa parte anche il giovanissimo Benjie, futura "stella promessa" della Mecca del Cinema. Dietro ai bagliori dei riflettori si nascondono però i fantasmi di un passato che si prepara a tornare a galla.

Scritto da Bruce Wagner, «Maps to the Stars» è un'operazione poco convincente a causa di una riflessione sull'universo hollywoodiano fiacca, inconsistente e che sa troppo di già visto.

Nonostante sia ben realizzato dal punto di vista formale, il film fatica eccessivamente a carburare e, al termine della visione, lascia molto meno di quanto avrebbe voluto e potuto. La cornice è di discreta fattura, ma manca un quadro all'altezza.
Persino il cast è altalenante: bene Julianne Moore (nella parte di un'affascinante attrice di mezza età), male Robert Pattinson (un autista con ambizioni da attore), così così Mia Wasikowska (la figlia maggiore dei Weiss).

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