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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2014 alle ore 16:09.

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«Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga». Il capitalista di Thomas Piketty, autore del libro più citato del momento, Capital in the Twenty-First Century, è un accumulatore convinto, al pari del Mazzarò di Verga. Ma Mazzarò disprezzava il quattrino, e non appena possibile correva a trasformarlo in «roba» e poi altra roba ancora, «perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re». La roba di Piketty i quattrini li moltiplica: il rendimento del capitale – a meno che non venga artificialmente calmierato – tende a superare il tasso di crescita di un Paese. L'economia di mercato produrrebbe pertanto società vieppiù diseguali e divaricate. «La realtà concreta, fisica, dell'ineguaglianza è visibile ad occhio nudo e per natura ispira drastiche ma contraddittorie conclusioni politiche». È il semplice "fatto" della diseguaglianza che richiede, per Piketty, azioni di contrasto, o una solida giustificazione.Quest'ultima gli pare di ardua fabbricazione.

Fra il 1990 e il 2010, per Forbes, il patrimonio di Bill Gates («il fondatore della Microsoft, impresa leader nei sistemi operativi, e pertanto la più genuina incarnazione della ricchezza imprenditoriale») «è aumentato da 4 a 50 miliardi di dollari». Nello stesso tempo, la fortuna di Liliane Bettencourt, l'ereditiera di L'Oréal che «non ha mai lavorato un giorno in tutta la sua vita», è cresciuta da 2 a 25 miliardi. «Entrambi i patrimoni sono aumentati ad un tasso annuale di più del 13 per cento, equivalente a un rendimento reale sul capitale del 10 o 11 per cento corretto all'inflazione». Se la ricchezza guadagnata cresce alla medesima velocità della ricchezza ricevuta da altri, chi è ricco lo sarà sempre di più. Così si legittimano forti politiche redistributive: in particolare, una patrimoniale globale (senza via di fuga verso giurisdizioni compiacenti).

Ma il capitale proficuo non è materia inerte – non è la roba di Mazzarò. Ha finanziato progetti, ha sostenuto imprese. La signora Bettencourt si sarà dedicata solo ai ricevimenti, ma la sua ricchezza non è rimasta con le mani in mano. Se viene remunerata, è anche in ragione del rischio che è inevitabilmente connesso a tali impieghi. Per una Microsoft, quanti sono i tentativi falliti, le aziende che non decollano, e di conseguenza il capitale che viene bruciato? Il successo di un saggio politico lo decretano, anzitutto, le circostanze. Capital in the Twenty-First Century è il frutto maturo di anni di polemiche sui bonus dei banchieri e sugli stipendi dei calciatori. Esprime con chiarezza convinzioni sempre più diffuse. Per esempio, Piketty scrive che «a partire dagli anni Settanta la diseguaglianza dei redditi si è accresciuta in misura significativa nei Paesi più ricchi, in particolare negli Stati Uniti, dove la concentrazione del reddito nel primo decennio del 21° secolo ha raggiunto nuovamente il livello degli anni Venti del secolo precedente».

Non c'è recensore che non abbia notato che Piketty cita, di tanto in tanto, Balzac e Jane Austen: né l'uno né l'altra, a dir il vero, letture particolarmente esotiche per un intellettuale francese. Dell'immagine di un Ottocento inglese segnato dalla miseria diffusa, più ancora che a Engels siamo debitori a Dickens. Ammettendo che si tratti di una raffigurazione storicamente corretta, sul serio vogliamo paragonare la condizione della classe operaia di oggi e di allora? Piketty ammette che l'aumento di beni e servizi disponibili e i miglioramenti tecnologici accrescono il potere d'acquisto delle persone. Dagli anni Novanta, i prezzi di computer e telefoni cellulari «si sono ridotti della metà, mentre le prestazioni sono aumentate di un fattore 5». Pensando alle grandi innovazioni del passato, «tra il 1890 e il 1970 il potere d'acquisto in termini di biciclette è aumentato di un fattore 40».

Se guardassimo ai consumi, ci accorgeremmo che mai nella storia siamo vissuti in società in cui le abitudini di ricchi e poveri si somigliano tanto: c'è chi ha la Rolls e chi guida ancora una vecchia Ritmo, ma in automobile ci spostiamo tutti, tutti conserviamo i cibi in frigorifero, abbiamo l'acqua calda e la televisione.
Piketty sa che «in termini di gettito fiscale e spesa pubblica, lo Stato non ha mai avuto tanto peso quanto negli ultimi decenni», ma vorrebbe che tassasse di più la ricchezza, convinto che ciò non avrebbe effetti di sorta sulla crescita economica. Scettico sui meriti dell'inflazione («il cui effetto non è di ridurre il ritorno medio sul capitale ma di redistribuirlo», e non necessariamente dai ricchi ai poveri), Piketty invoca una mega-patrimoniale per ridurre il debito pubblico, obiettivo pure non particolarmente caro ai suoi fan. Come dire che ogni tanto è il mezzo che legittima il fine.

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