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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2014 alle ore 07:41.

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A Jonathan Franzen viene da piangere per colpa di una poesia di Hayden Carruth sugli animali che muoiono. Ian McEwan non riesce a trattenere le lacrime ogni volta che rilegge i versi composti da Peter Porter in memoria della moglie suicida. Salman Rushdie si commuove quando Auden omaggia Yeats. O almeno è quello che i tre hanno raccontato a Anthony e Ben Holden, curatori dell'antologia Poems that make Grown Men Cry (Simon & Schuster, 2014), un titolo che suscita perplessità: ma è davvero questo il compito della poesia, farci scoppiare in lacrime? A cento fra scrittori, attori, musicisti e registi è stato chiesto di segnalare i componimenti che li facevano singhiozzare come bambini, e loro hanno indicato perlopiù dell'ottima poesia, quella che ti mette addosso sgomento, quella capace di sintetizzare il vuoto che precede la parola stessa, figuriamoci se non precede le emozioni. Sia chiaro: io sono una frignona, una che piange su tutti i finali di tutte le storie. Più sono libracci e più piango, più sono film di cassetta e più piango. Eppure, mentre continuavo a chiedermi cosa avrei scelto se fossi stata invitata (a proposito, prima che arrivino le accuse di discriminazione: i curatori hanno già in programma Poems that make Grown Women Cry), fissavo perplessa la mia libreria. Ricordo una per una le rime che mi hanno fatto sorridere e innamorare, so a memoria i versi che mi hanno devastata. Lacrime però niente, siamo su un altro pianeta. Un poeta che conosco dice che ho ragione, è giusto così. Intanto, scoprire i motivi per i quali gli uomini dicono di piangere è stato divertente. Cosa spezza il cuore a Daniel Radcliffe? Qual è il punto debole di Colin Firth? Avreste mai detto che John Le Carré singhiozza su Goethe? Esiste un filo conduttore tra la poesia su cui frigna Julian Fellowes, creatore di Downton Abbey, e quella con cui si strugge Hugh Bonneville, che nella stessa serie interpreta Lord Grantham? Perché, a parte qualche eccezione come Gabriella Mistral indicata da un furbissimo Jeremy Irons, le autrici strappalacrime sono in minoranza rispetto ai colleghi? A quanto pare gli uomini piangono sulle parole di altri uomini. E soprassediamo sul fatto che nella vita, quando non sono costretti a darsi un tono da letterati, li abbiamo visti piangere sempre e solo sulle nostre, di parole.

Comunque, che si arrivi alle lacrime o meno, sfogliando questo libro ci si commuove davvero. Io ho cominciato già dall'indice, appena ho letto i nomi di Christopher Hitchens e Seamus Heaney, che hanno inviato le proprie scelte rispettivamente cinque giorni e pochi mesi prima di morire: Dulce et decorum est di Wilfred Owen il primo, The Voice di Thomas Hardy il secondo. L'idea degli Holden, padre e figlio, realizzata con la partecipazione di Amnesty International, ha funzionato al punto che Poems that make Grown Men Cry in Gran Bretagna è entrato in classifica, evento talmente raro per la poesia che quando accade non si sa bene dove piazzarla, finisce in una generica non-fiction ed è sempre un po' straniante vederla affacciarsi fra un libro sui tatuaggi e uno di ricette. Nel frattempo i curatori creavano un'app di Facebook con cui invitavano gli utenti a partecipare a un concorso a premi con in palio cinque copie autografate dell'antologia. Di fronte a una simile macchina da guerra quasi tutti i poeti che conosco saranno già svenuti. Quanto a me, ho trovato la risposta alla mia domanda immaginaria: se fossi stata interpellata avrei scelto una poesia amara, di quelle che mi hanno fatto male sul serio. Forse dagli Appunti sparsi e persi di Amelia Rosselli, forse da Tema dell'addio di Milo de Angelis. In ogni caso, per sicurezza, prima di inviarla ai curatori avrei innaffiato quel foglio asciutto sotto un rubinetto che gocciola, come fa Snoopy per rafforzare la persuasività delle sue sinceramente affrante lettere d'amore.

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