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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2014 alle ore 16:07.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2014 alle ore 16:54.

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Era il punto massimo cui poteva spingersi. Papa Francesco – parlando di dimissioni in risposta ad una domanda dei giornalisti nel volo di ritorno dalla Terra Santa – ha detto di non sapere cosa Dio avrà in servo per lui, ma che di certo «Benedetto XVI ha aperto la strada dei Papi Emeriti». Insomma, dopo la rinuncia dell'11 febbraio 2013 la Chiesa non è più la stessa che fino a quel momento era conosciuto. Un'affermazione forte, che conferma come il nuovo corso del pontefice argentino non è fatto solo di un cambio dell'agenda pastorale e di governo, ma che porterà con sé qualcosa di più profondo. Come se la sua elezione è da leggersi come un unicum con la rinuncia del papa tedesco.

Una messa a fuoco nitida del cambio che sta vivendo il papato arriva dal bel libro «Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione» (Laterza), di Marco Politi, giornalista vaticanista di lungo corso, a lungo a Repubblica e ora editorialista de il Fatto Quotidiano, commentatore per network tv americani e scrittore affermato. Il capitolo conclusivo del libro ha come titolo «Un papato a termine», e l'analisi che ne emerge è come un decodificatore delle parole di Francesco sull'aereo.

«Due Papi in Vaticano. E all'orizzonte si profila un pontefice a termine. L'anno 2013 ha messo in moto un rivolgimento imprevedibile nella cattolicità. Cambia il profilo del papato e Francesco sta mutando il modello di Chiesa. Il successore tornerà probabilmente a vivere nell'appartamento papale, ma non potrà più presentarsi con i paludamenti del passato. Soprattutto non riuscirà più ad esercitare un potere autoritario senza limiti. L'assolutismo imperiale dei pontefici è stato incrinato irreversibilmente. Papa Francesco si è presentato al mondo come un discepolo di Gesù, dopo di lui è difficile che un papa possa salire sul trono pretendendo di essere plenipotenziario di Cristo». Politi rivela che in Vaticano corre voce che Bergoglio abbia confidato ad un vescovo di essere disponibile a dimettersi: «Difficile pensare che voglia restare in carica senza avere il pieno comando. Vegetare sul trono in età avanzata non fa parte del temperamento intellettuale di un pontefice gesuita, attento a discernere le situazioni. La dichiarata volontà di mantenere e, anzi, rinnovare passaporto e carta di identità della sua patria argentina lascia intravvedere un'esistenza futura non necessariamente conclusa all'interno delle mura vaticane».

E il legame stretto tra Benedetto e Francesco – al di là degli stili dei programmi che risultano agli antipodi – è sottolineato nel libro proprio quando si racconta della rinuncia del papa tedesco: «Senza Ratzinger non c'è Francesco. Senza le dimissioni di Benedetto XVI il cattolicesimo non sarebbe approdato alla svolta storia di un papa del Nuovo Mondo». Il libro di Politi ripercorre, con dovizia di particolari e aneddoti, lo scorcio storico a cavallo tra i due pontefici, le guerre tra i cardinali, le resistenze della Curia al cambiamento, lo spinoso tema delle finanze pontificie, i segreti del «conclave anti-italiano», che ha portato sulla cattedra di Pietra quello è ormai «il leader più influente del pianeta, che si è prefisso un'impresa gigantesca: riformare la Curia e rinnovare la Chiesa. Ma dietro le quinte la lotta è sempre più aspra. Il tempo è poco. La posta in gioco è la fisionomia del cattolicesimo di domani».

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