Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2014 alle ore 11:03.

My24

Classe 1964, Carlo D'Amicis è tra i più interessanti, discreti e poliedrici scrittori oggi attivi in Italia. Sette romanzi già pubblicati, tra cui ricordiamo almeno Ho visto un re (racconto biografico intorno all'affascinante figura di Luciano Re Cecconi, centrocampista laziale rimasto ucciso nel 1977 durante una falsa rapina), La guerra dei cafoni (lotta di classe infantile, tra Il signore delle mosche e I ragazzi della via Pal), La battuta perfetta (probabilmente il più riuscito tra i molti romanzi che negli anni scorsi hanno cercato di fare il punto sulla storia e l'immaginario dell'Italia berlusconiana).

Mostrando una rara e ammirevole curiosità verso storie e generi di scrittura sempre diversi, D'Amicis torna ora in libreria con quello che è forse il suo romanzo più originale. Quando eravamo prede (Minimum fax, in libreria da giugno) ci precipita in un mondo storicamente indefinito, forse postumo, forse post-catastrofico come La strada di McCarthy (o prima ancora La peste scarlatta di London).

Una comunità tribale di cacciatori dotati di armi moderne ma privi di nomi, se non quelli dei loro animali totemici, vive all'interno di una vasta zona selvaggia chiamata "il cerchio" che nessuno di loro ha mai varcato; i cacciatori bestemmiano nel bosco, bevono birra fatta in casa, sono brutali, non conoscono la vergogna e non possiedono nulla oltre a fatiscenti abitazioni e vestiti di pelle animale. Dal fiume, tuttavia, giungono tracce di un mondo diverso: rifiuti, oggetti sconosciuti che il fabbro fonde per ricavarne proiettili, finché un giorno, oltre ai rottami di quella che immaginiamo come una remota civiltà industriale molto simile alla nostra, un elemento nuovo penetra nel mondo primitivo dei cacciatori, un abitante della zona esterna al cerchio che misteriosamente condurrà allo sfacelo il chiuso, violento ed equilibrato universo tribale.

Il libro assume rapidamente le sembianze del romanzo allegorico, e il dovere (e piacere) dell'interpretazione è ampiamente consegnato al lettore, come tradizione novecentesca richiede, da Kafka in giù. Ma se un merito indubbio va riconosciuto a D'Amicis è quello di non avere lasciato che la pur ambiziosa riflessione filosofica sul rapporto tra umano e disumano, tra natura e civiltà, tra religione e morale (i titoli dei capitoli sono citazioni del Vecchio Testamento), togliesse qualcosa alla tensione narrativa e al gusto dell'avventura: costruito su pochi ma efficaci elementi fantastici e orrorifici. Quando eravamo prede si può leggere come un romanzo di King, o come uno di Coetzee, a scelta.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi