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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2014 alle ore 13:16.
L'ultima modifica è del 30 maggio 2014 alle ore 19:35.

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Ancora uscite a due zeri: ben dieci nuovi film in sala, in uno dei mesi distributivamente più bulimici degli ultimi anni. Arrivano tante opere, ma smontano anche in fretta, nella maggior parte dei casi. Inevitabile, quindi, fare delle scelte e parlare solo di alcune pellicole. Non si può che cominciare con Edge of Tomorrow, classico blockbuster con Tom Cruise, tra Il giorno della marmotta e l'ultimo Duncan Jones, per poi consigliarvi due perle, Ana Arabia e In ordine di sparizione, completamente diversi nel genere e nello stile, ma ispiratissimi e dirompenti.

Non male, infine, Dom Hemingway, con un Jude Law da urlo e utile e importante è Resistenza Naturale. Partiamo dal divo Tom, autore di un tour promozionale in cui ha macinato migliaia di chilometri, centinaia di selfie e decine di aneddoti sul suo riuscire, ancora, a recitare scene pericolosissime senza controfigure. Cosa dirvi di Edge of Tomorrow? Che è un film con Tom Cruise. Se nel genere della giornata ripetuta all'infinito si fa surclassare non solo dal grande classico Ricomincio da Capo (Groundhog Day) ma pure da Source Code di Duncan Jones, il fatto è che per due ore non ti annoi. Anche se alcuni personaggi sono sbagliati, tutto è concentrato su quell'eterno ragazzo, sulle sue smorfiette, sulla sua voglia di accattivarsi anche lo spettatore più rigido. Cruise è come quell'amico che in comitiva è sempre gentile, simpatico e carismatico e alla fine, anche se lo sopporti poco, ti fa ridere e ti mette a tuo agio. Ecco cos'è Edge of Tomorrow, un lungometraggio funzionale al suo protagonista. Non a caso è diretto da Doug Liman che, come al solito, ben si adatta all'attore di turno, sia Damon nella saga di Jason Bourne o appunto l'ex Top Gun. Il resto è un'Emily Blunt che come al solito trova uno spazio troppo stretto per il suo talento, un montaggio che rende sopportabile la reiterazione dei vezzi dello zio Tom, una trama che fa acqua soprattutto nella sua soluzione conclusiva. Ma tanto, non si va a vedere un film, si va a vedere Cruise. E lui c'è, come sempre in gran forma.

Lo è anche Jude Law in Dom Hemingway, noir cialtrone e ciarliero in cui il nostro ne fa e ne dice di cotte e di crude. Appena uscito di galera, Dom, vuole la sua parte di un bottino e di un colpo su cui ha tenuto la bocca chiusa. Da qui parte una serie di disavventure rese ancora più assurde da un approccio alla vita del protagonista decisamente sui generis. Botte, bevute, battutacce, minacce e incidenti rocamboleschi, fino al possibile lieto fine, ti fanno divertire come il monologo iniziale, su un argomento piuttosto tabù. Non parliamo di un capolavoro, ma l'intrattenimento, anche se piuttosto aggressivo, è assicurato. Da segnalare la grande performance di Richard E. Grant, spalla straordinaria.

In fondo, non è delicato neanche il geniale In ordine di sparizione. Opera sorprendente perché vira il meglio di un genere ben fotografato dall'etica e dall'estetica compresa tra Kitano e Tarantino, con uno stile narrativo nordico e molto audace. Il regista Hans Peter Moland, infatti, dichiara le sue vittime, quasi giocasse a poker a carte scoperte. Denuncia subito cosa vuole raccontare, e come. Rischia, quindi, di andare a sbattere contro un fallimento causato da lui stesso e invece, anche grazie a un cast in cui spiccano Stellan Skarsgaard e Bruno Ganz al loro meglio, riesce ancora più a sorprenderci, a volte portandoci nella struttura a puzzle de I soliti sospetti. A questo va aggiunta un'autoironia tipicamente norvegese - se spiate un po' del loro cinema, la scoprirete - e sottotesti persino politici e sociali di spessore. Alla faccia di ogni stereotipo, visto che il luogo comune, in In ordine di sparizione, è il primo a scomparire.

L'opera imperdibile della settimana è però Ana Arabia. Amos Gitai, come già fatto nel corto del film collettivo 11 settembre e all'inizio di Free Zone, capisce che solo l'unità di luogo, di tempo e di popoli può raccontare la tragedia del Medio Oriente. Qui porta il piano sequenza a coprire tutto il lungometraggio, con bravura tecnica e sensibilità creativa, per raccontare un quartiere misto, pieno di arabi, israeliani e storie comuni. Una giornalista (Yuval Scharf), prima supponente e poi partecipe, guarda e a volte racconta: noi diventiamo lei, che sa accoglierci con bravura e forza espressiva. Gitai fa un capolavoro, ci porta là. Senza pause, senza darci il tempo e modo di pensare, perché proviamo emozioni. Una grande lezione di cinema, di umanità e di politica.

Chiudiamo con Resistenza Naturale. Un percorso nell'ignoranza nel mondo del vino che è lo specchio di ciò che continuiamo a trascurare di ciò che beviamo, mangiamo, viviamo. Di una nostra scarsa capacità di convivere con la sostenibilità ambientale, con la biodiversità, con ciò che è semplicemente naturale. Nossiter ci propone un buon sequel del suo Mondovino, più didattico forse. E fa centro. Con la delicatezza di un buon bicchiere di rosso.

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