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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2014 alle ore 07:35.

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Il 4 giugno 1989 a Pechino, nelle prime ore del mattino, la speranza di una "primavera democratica" cinese si spegneva nel sangue, tra lo sdegno dell'opinione pubblica mondiale e la condanna (più formale che reale) dei governi occidentali. A distanza di venticinque anni non è possibile stabilire con precisione il numero dei caduti sotto i colpi dei soldati, che sparavano anche con le mitragliatrici, o travolti dai carri armati (le stime delle vittime vanno da alcune centinaia ad alcune migliaia).

In vista dell'anniversario della strage di piazza Tienanmen, nelle ultime settimane sarebbero stati arrestati una ventina di accademici, avvocati e artisti vicini alla dissidenza. Anche numerosi siti internet di Google sono stati bloccati dalle autorità cinesi. Lo ha reso noto un gruppo di monitoraggio della censura, "GreatFire.org", secondo cui risultano bloccate le versioni oltreoceano di Google, accessibili in Cina dopo che il gigante di internet aveva abbandonato il continente nel 2010 proprio per la censura.

Nel 1989 la scintilla che avrebbe acceso la rivolta era scoppiata nella seconda metà di aprile, durante il funerale del "riformista" Hu Yaobang, una delle menti più aperte della leadership cinese dell'epoca, epurato per le sue posizioni liberali. La notizia della sua morte per infarto aveva creato grande emozione tra gli studenti e tra coloro che - in un Paese che già da un decennio aveva iniziato a seguire l'esortazione di Deng Xiaoping ("arricchitevi!") - oltre alla libertà economica avevano a cuore anche quella politica. Hu, ex delfino di Mao Zedong, esponente illuminato del Partito comunista, del quale era stato segretario generale, incarnava l'ideale del leader moderno che avrebbe potuto imprimere un passo nuovo all'impetuoso sviluppo della Cina.

Quanti volevano ricordarlo iniziarono a radunarsi in piazza Tienanmen a Pechino. Allora non esistevano i telefoni cellulari o i social media e non c'era Weibo, il mix cinese tra Facebook e Twitter, che oggi le autorità comuniste tentano di tenere sotto controllo: si faceva affidamento sul passaparola. I manifestanti chiedevano al Partito di assumere una posizione ufficiale nei confronti di Hu, che già tre anni prima, nel 1986, aveva sostenuto le proteste degli studenti, pagando il prezzo dell'emarginazione politica.

Come ricorda Linda Benson nel libro «La Cina dal 1949 a oggi», pubblicato di recente nelle edizioni del Mulino, «il Pcc doveva affrontare chiaramente una situazione difficile, che si complicò ulteriormente in vista dell'arrivo a Pechino di Michail Gorbaciov, l'architetto delle riforme sovietiche: a metà maggio infatti, per la prima volta dal 1959, un capo di Stato dell'Urss avrebbe visitato la Cina. (…) Alla fine la visita di Gorbaciov si svolse come da programma, ma i consueti cerimoniali di benvenuto in piazza Tienanmen dovettero essere sospesi, mentre le televisioni internazionali riprendevano gli studenti che esponevano cartelli inneggianti alla "perestrojka" e alla "glasnost", con grande imbarazzo da parte dei dirigenti del Partito».

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