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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2014 alle ore 08:56.

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Il mese scorso ho rischiato il posto: dalle colonne del Fatto Quotidiano, qualcuno ha provato a rubarmi il lavoro vergando parole al vetriolo contro IL e la sua presunta rapidità nel voltare gabbana per servire il Governo (ma se leccano i piedi a Renzi praticamente da quando era Presidente della Provincia?!?). Per fortuna, sono riuscita a tenermi stretta la rubrica, per il semplice fatto che, rispetto a Travaglio, ho questo plus: non scrivo in carabinieresco.

Mentre Christian Rocca si faceva distrarre dai detrattori, ha perso il controllo su Antonio Sgobba, il curatore della sezione culturale che ha ultimato la conversione totale di Rane in Alias del Manifesto, tra excursus dolorosi sul romanzo militare e risposte non richieste alla domanda universale "cos'è l'amore". In una parola: il disagio morale. Un peccato, perché vi giuro che Rane, fino al giorno prima della chiusura, con solo le infografiche e i "lorem ipsum" al posto dei testi, fa la sua porca figura. Poi arriva quel pesante di Sgobba e rovina tutto con la sua contrizione. Potrei consolarmi godendo delle illustrazioni di María Corte al mio Fogliettone su bambini-geni e social network, se non fosse che il giornale si apre con un pezzo di Arnaldo Greco (mio marito) dal titolo Come lasciarsi consensualmente. Sì, fa riferimento alle peripezie burocratiche per disdire gli abbonamenti ai gestori, ma permettete che l'espressione cripto-divorzista non mi metta esattamente nella miglior disposizione d'animo. «No, ma fidati – mi si dice – va' avanti che c'è lo speciale musica, con Lorenzo Jovanotti». Vediamo. Parla dell'afro-beat di un mezzo prete di Lagos, convertito cristiano born-again. Mah, a me il Jova sembra ancora fermo al Cristo sul cuscino e al Buddha sul comodino, alla grande Chiesa che va dal Che a Madre Teresa. Comunque, è una libidine; è una rivoluzione. Tanto per restare in tema con questo numero, cioè la Quarta rivoluzione dello Stato. Ma come prenderli sul serio, ormai?

Questi ciclicamente tirano fuori una rivoluzione: e la rivoluzione energetica dello shale, e la rivoluzione matriarcale, e la rivoluzione dei politecnici, e quella dei miliardari della Silicon. Tante chiacchiere il cui succo è sempre liberismo sfrenato, meno Stato sociale e già che ci siamo spazziamo via i nostalgici del territorio, trasformiamo tutto in parchi tematici e (dopo aver messo a tacere la cellula terroristica Antonio Sgobba, che mi rifiuto di credere voti Renzi) diamo un taglio al sopravvalutato suffragio universale e guardiamo con speranza al modello autoritario di Singapore. Per le cui strade, cammina bel bello Pacifico come ogni elettore medio di Tsipras, che trova del tutto naturale essere lì, e, siccome inizialmente era partito solo con l'idea di mangiare dei noodles fuori dal Pigneto, non ha neanche letto una guida, e si stupisce imbattendosi nelle torri di Libeskind… È lui (il finto squattrinato) il candidato ideale per seguire l'agenda estiva proposta da Marco Valsecchi su Tabloid. Già. Mentre un tempo il militante di sinistra avrebbe avuto il solo problema di scegliere l'ombrellone a Capalbio (dietro Rutelli o accanto a Rodotà?), ora, cavalcando l'onda caciarona del renzismo, vola come minimo dalla sagra dell'astice nel Maine al Burning Man in Nevada, naturalmente col Pono di Neil Young nelle orecchie. E che cosa ascolta? Be', su questo non ci dirà mai la verità, perché le domande che suscitano risposte più bugiarde sono rispettivamente «Hai mai tradito tua moglie?» e «Che musica ascolti?», come dimostra il sondaggio musicale su 20 intenditori amici di IL. L'unico sincero è un over 60, che non capisce il senso della sessione privata di Spotify (cioè ascoltare merda, di nascosto dai tuoi follower): Pisapia con i Negramaro – e secondo me, per i brividi dell'audiofilo Bordone, li ascolta anche con l'auricolare bianco da un euro!
Per fortuna che negli Anni 80 non c'erano i musicofili con puzza sotto il naso e cuffie "desiderabili", e nemmeno il giornalismo narrativo: così Pasquale Panella è diventato un paroliere, anziché un Masneri qualunque. Vi invito a esplorare con devozione la sua lingua rocambolica: in un quadrato semantico si situa all'angolo opposto di quella del Fatto e di Alias. È questo il vero spazio poetico di IL, e non ha niente a che fare con i denti digrignanti e il gracidio mesto di Rane. Se ce la fate ad arrivare in fondo al cervello tortuoso di quest'uomo, ne sarete gratificati (io non ce l'ho fatta).

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