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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2014 alle ore 10:09.
L'ultima modifica è del 13 giugno 2014 alle ore 18:34.

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Consigliamo, su tutti, Ari Folman, il cui The Congress è ambizioso, eccessivo, ma visivamente e contenutisticamente affascinante e interessante. Meno creativo ma dolce e profondo Gabrielle – Un amore fuori dal coro, che ci ricorda come la diversità sia spesso un problema soprattutto per i cosiddetti normali, limitati, loro sì, nel capire le sfaccettature del mondo. Molto utile Femen- L'Ucraina non è in vendita: il movimento femminista a seno nudo, il più famoso del pianeta, qui viene vivisezionato e svelato nei suoi lati oscuri.

Un tris d'assi: animazione, film classico e documentario, per ogni gusto. Partiamo con Ari Folman, che coinvolge la bella e bravissima Robin Wright (non più Penn) in un lavoro che mescola linguaggi cinematografici, visioni filosofiche e distopiche, considerazioni sulla società dello spettacolo e sul (triste) spettacolo della società.

Robin Wright interpreta se stessa, alle prese con la produzione cinematografica che l'ha scritturata anni prima: vuole, l'amministratore delegato, che lei venda loro l'anima. Anzi no, solo l'immagine, per creare un clone cinematografico che interpreti chiunque vogliano, senza la scomoda presenza dell'ego dell'attore, dei suoi dubbi, delle sue rabbie, dei suoi problemi. Sembra mostruoso e insensato, ma in fondo con un figlio malato, si può fare. E' lei la prima pietra di una rivoluzione etica ed estetica, e lo capisci quando, fisicamente, consegnerà la sua immagine: la scena tra lei e il suo agente, un Harvey Keitel da Oscar, è un saggio sul cinema, sul ruolo dell'attore, sulla vita di chi deve mettere in gioco, ogni giorno, se stesso, l'essenza e l'apparenza di cui è fatto. Certo, Folman forse esagera, soprattutto quando porta la sua protagonista in una specie di mondo di Roger Rabbit, in cui le si chiede ancora di più, in cui l'avidità delle multinazionali che ormai producono film e farmaci, unendo settori produttivi anche opposti, è arrivata al parossismo.

Una riflessione sull'immagine è in fondo anche Gabrielle- Un amore fuori dal coro. Quella percepita dagli altri, dalla gente, dall'ipocrisia sociale. Gabrielle nella vita e nel film, porta sulle spalle il fardello della sindrome di Williams, ritardo mentale che aumenta il proprio essere estroversi, fino a eccessi imbarazzanti. Louise Archambault, la regista, sa proporre il suo coraggio e la sua forza senza retorica, ma con la dovuta tenerezza che si scontra con la ruvida meschinità del pensiero e del senso comune. In un mondo che pretende la tolleranza, ma non sa amare, Gabrielle ci insegna a farlo, a lottare per un'indipendenza che nessuno le vuole riconoscere, se non a parole, e con il suo desiderio di vivere al meglio i suoi sentimenti.

Tutt'altro tipo di donne sono le bionde e splendide ragazze del movimento Femen. Nel documentario Femen- L'Ucraina non è in vendita, di Kitty Green, finalmente le conosciamo. Non sono più solo una seconda misura di seno scoperta, un momento di pessima body art a fini politici, un pruriginoso pezzo in un tg, ma una comunità che lotta per ciò in cui crede. Un collettivo femminista – una parte del quale ha fatto visita al Biografilm Festival a Bologna - che vive la contraddizione di una leadership maschile e maschilista. La regista accarezza i loro corpi, diventa elemento (inter)attivo del racconto, da donna vuole creare consapevolezza in altre donne. Il film diventa un grimaldello per far esplodere le contraddizioni del gruppo, acuite dall'esilio francese di queste ragazze ucraine.

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