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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2014 alle ore 20:47.
L'ultima modifica è del 13 giugno 2014 alle ore 20:50.

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Ad aprire la settima edizione del Napoli Teatro Festival Italia è stata la Vertigo Dance Company, per la terza volta ospite della rassegna partenopea, con un debutto assoluto: "Reshimo". E va subito detto della location mozzafiato dell'Arena di Pietrarsa che incastonava lo spettacolo rendendolo, a prescindere dalla qualità, di grande fascino. Con lo sfondo del mare illuminato da un paesaggio notturno di luci in lontananza i movimenti dei danzatori della compagnia israeliana si stagliavano con nitidezza nella loro fluidità tale da sembrare creature che nascevano da quelle acque.

Distesi sul bordo del palcoscenico, proseguendo l'orizzontalità del mare strisciano oscillando dapprima verso di esso come un richiamo al quale rispondono; poi, alternando le elevazioni di alcuni ai rotolamenti di altri, proseguire in fila tenendosi per mano e in girotondi interrotti, in saltelli di gruppo avanti e indietro; staccarsi per degli assoli sotto gli occhi degli altri in sosta su paletti luminosi; per poi ricongiungersi in coppie dislocandosi in più spazi della scena. Pose veloci e nervose delle mani lungo le braccia, il viso, la testa; dinoccolamenti, scivolamenti, modalità gestuali ripetute come anche altre sequenze, in un continuo cadere e rialzarsi. Come nella vita. Ed è ispirata alla Cabala la coreografia di Noa Wertheim, cioè al libro sacro ebraico, per indagare la dicotomia tra finito e infinito. "Reshimo" sta a significare un "residuo della luce di Dio", o, più materialmente, la rivelazione del vuoto lasciato alle spalle. E lo strillo che si trasmettono i performer accompagnato da gesti teatrali che si rimbalzano a vicenda, è il ricordo di una parola primordiale, alfabeto della Creazione.

Wertheim attinge alla memoria del corpo, al suo movimento interno, che trova nella postura del balance degli otto danzatori un equilibrio interiore da ricercare per esplicare quindi sentimenti di tristezza e di gaiezza, di vitalità e mestizia, di tribalità e sensualità, con un'energia che, di sicuro, non manca agli ottimi interpreti dai movimenti fluidi con un'aria meditativa. Alla bella colonna sonora di Ban Ragno – ma troppo a collage, come lo sono le sequenze di danza che inseguono il ritmo e non giungono a tracciare un unicum coerente – si aggiunge una contaminazione musicale brasiliana che confonde, rifacendo la canzone "Aquarela do Brasil".

Su questa la coreografia vira in un'altra direzione, con passerelle prima maschili poi femminili, sensuali e ammiccanti, con terzetto finale, per poi ritornare alla disposizione iniziale, ma su un tappeto di foglie nel frattempo piovute dall'alto – un dejà-vu che ha solo l'effetto di stupire –, segno del tempo che sfugge e della mortalità dell'essere umano. Questa mescolanza anche musicale, ma soprattutto di stili alquanto superati, di linguaggi e grammatiche ormai lontane che alla lunga si ripetono non trovando particolare evoluzione di idee in movimento, fanno di "Reshimo" uno spettacolo datato. Senza regalare nulla di nuovo.

«Reshimo», coreografia di Noa Wertheim, musica Ran Bagno, scene e luci Dani Fishof, costumi Rosie Canan. Al Napoli Teatro Festival Italia, fino al 22 giugno. www.napolitetatrofestival.it

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