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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2014 alle ore 08:15.

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Il polacco Stanislaw Lem, defunto meno di dieci anni fa, è uno dei massimi tra gli scrittori del Novecento che sapessero di scienza. E la sua è grande letteratura di fantascienza nel significato più adulto del termine, pari soltanto (e in qualcosa superiore, grazie al controllo filosofico e teorico sulle sue immaginazioni e intuizioni) a quella di Vonnegut, Dick, Ballard. Non è uno scrittore facile da tradurre in film, pena la banalizzazione dell'opera; pochi ci hanno provato e l'impresa è riuscita solo a uno dei più grandi registi del Novecento, Andrej Tarkovskij, con il Solaris del 1971, mentre la versione, spettacolarmente buona, che ne dette nel 2002 l'americano Soderbergh era più vicina a Spielberg che non a Tarkovskij. O a Lem.
Torna ora Lem l'israeliano Ari Folman, noto soprattutto per Valzer con Bashir, uno dei più importanti film di animazione recenti, di quelli che hanno osato affrontare i temi più scabrosi e le contraddizioni più forti della storia contemporanea. Folman alterna i film "normali" a quelli disegnati ma, giudicare da The Congress, tratto da Il congresso del futuro, geniale previsione di Lem di una dittatura chimica a venire, è assolutamente più bravo col disegno che con la realtà, almeno nei modi in cui un film ha a che fare con la realtà. Tanto è originale, inventivo e visionario, e tanto è grandioso nel disegno, tanto è piatto e banale, banalmente "televisivo" nel cinema con gli attori, nel cinema "normale". E perfino la sua interprete, l'attrice Robin Wright nel ruolo (non realistico, non documentario) di se stessa, risulta molto più affascinante nel disegno (anche se "vent'anni dopo") che nella realtà. Il mondo del futuro e la sua "altra parte" finiscono per sembrare – al contrario di quanto non pensasse Lem e di quanto dichiara lo stesso Folman – molto più affascinanti del presente e di "questa parte".
Lem pensava a un mondo futuro dominato dalla chimica, che trasforma la nostra mente e ci fa vivere in una dimensione, fasulla e controllata, dove si è quel che si sogna e ci si sogna. E un po' tutto questo si sta già verificando prima che con la chimica con l'elettronica, con il digitale. Folman trasferisce le considerazioni e le paure di Lem dalla politica e dalla società al mondo dello spettacolo, quando – come già sta cominciando ad accadere da qualche anno – all'attore si sostituisce la sua immagine scansionata, alla quale si può far fare di tutto.
È del cinema post-Avatar che Folman ci parla, in modo piuttosto confuso e non assistito da una sceneggiatura adeguata, che è il solo a firmare a riprova di un'autonomia discutibile, che ci sembra incerta sotto ogni aspetto. Robin Wright accetta, consigliata dal suo agente (uno smorto Harvey Keitel) e ricattata dal suo produttore di diventare un'attrice virtuale, per vent'anni. Il mondo va avanti e vent'anni dopo, per ritrovare il figlio malato, ella, chimica assistendo, accetta di spostarsi nel mondo virtuale a un congresso di cineasti con una storia simile alla sua. Preoccupa Folman che il cinema cambi troppo, ha nostalgia del cinema di ieri anche se accetta spregiudicatamente di tuffarsi in quello di oggi (il domani, chissà cosa ancora ci riserva! né lui né noi siamo ancora in grado di prevederlo sensatamente). È qui che il film fa esplodere la confusione delle idee in una geniale confusione delle immagini e Folman, con il suo animatore Yoni Goodman, ci appare davvero come uno dei grandi del disegno animato. Anche in questo campo, non ci sembra che abbia idee chiarissime (soprattutto se si confrontano i disegni di questo film con quelli di Valzer con Bashir, molto diversi), ma ciò non toglie che si tratti di immagini e movimenti bellissimi.
Folman è incerto nelle idee ed eclettico nelle immagini, ma che immagini sa proporci! Per raccontare l'immaginario chimico Folman si rifà di tutta evidenza al magistero dell'illustratore tedesco Heinz Edelman, inventore nel 1968, con George Dunning alla regia, di un meraviglioso film sui Beatles, Yellow submarine. Torna non a caso, dunque, a quella voga dell'illustrazione che venne detta a suo tempo "psichedelica". C'è di tutto e di più, nel visionario neo-liberty e floreale del suo mondo immaginario, e il fascino di queste figure in movimento compensa abbondantemente il disordine o la superficialità delle sue idee. Alla fine, anche nel cinema del mondo a venire, le madri ritrovano i figli e il lieto fine rimane d'obbligo.
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