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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 16:01.

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Quindi è iniziata la parte più distruttiva della battaglia, con combattimenti durissimi mentre l'aviazione siriana bombardava a tutto spiano per avere ragione della guerriglia. «Erano due-tremila jihadisti insediati in un territorio aspro e complicato», sembra giustificarsi il generale siriano Sohil.
Per riprendere Maloula sono dovuti intervenire gli Hezbollah, le ben addestrate milizie sciite libanesi alleate dell'Iran e dell'appena rieletto presidente Bashar Assad, che hanno sconfitto gli integralisti sunniti: ecco un altro volto di questo conflitto, una sorta di guerra settaria e per procura all'interno dell'Islam che attraversa tutto il Levante arabo.

Questo spiega perché adesso a Maloula, insieme alla bandiera nazionale, sventola quella gialla degli Hezbollah accompagnata dal ritratto del loro barbuto leader Seyed Nasrallah, diventato ormai un eroe dei cristiani siriani. Ma ora sulla montagna di Maloula dove il monastero di Mar Sarkis un tempo dominava l'orizzonte, tutto è avvolto nel silenzio, spazzato dal vento che soffia tra le rovine lasciate dalla battaglia del Qalamoun. Se continua così tra qualche tempo avremo soltanto il ricordo di una Siria che non c'è più.

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