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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2014 alle ore 08:13.

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Nel 1986 la neurobiologa Patricia S. Churchland, neuroscienziata con preparazione filosofica, col libro Neurophilosophy Toward a United Science of the Mind-Brain (Mit Press) propose di introdurre strutturalmente, nella filosofia della mente, i dati delle neuroscienze cognitive per indagare la natura della coscienza. La neurofilosofia sarebbe dovuta essere l'interfaccia fra gli antichi problemi della filosofia, come la conoscenza, la volontà, la morale, e la scienza che studia fisicalisticamente l'organo che tutto questo produce, il cervello. All'Università di San Diego, in California, la Churchland ha insegnato neurofilosofia a studenti – racconta nel nuovo libro – turbati dalla penetranza con la quale le neuroscienze mettono a soqquadro il senso comune. I filosofi Owen Flanagan e David Barak hanno felicemente battezzato Neuroexistentialism (EurAmer. 40, 573-590,2010) lo sconcerto universale causato dalle neuroscienze. Nel 2002 la Churchland tornò a ribadire il suo proposito con Brain-Wise Studies in Neurophilosophy (Mit Press). Le neuroscienze, assicurava, avrebbero portato "venti nuovi" nella filosofia. La splendida copertina, con un cervello assediato da illustri filosofi di ogni tempo, curiosi e imbarazzati, era l'icona del programma: scienza e filosofia, unite nella neurofilosofia, si sarebbero avvicinate alla natura dei sistemi cognitivi. Dopo 28 anni, il bilancio, per la Churchland, è lapidario: la neurofilosofia non è mai nata. «Molti filosofi contemporanei, in America e in Europa – essa scrive – si specializzano per affrontare questioni come la natura della coscienza senza imparare nulla di neuroscienza, o di qualunque scienza», con qualche lodevole eccezione come Daniel Dennett, Oswald Flanagan, Ned Block, Thomas Metzler e pochi altri (noi ne avremmo aggiunto un paio). Il de profundis della neurofilosofia è solo una parte marginale del libro. Esso è un pot-pourri molto informativo e ben dosato di vari argomenti di neuroscienza: fra gli altri, un'introduzione generale al funzionamento del sistema nervoso; l'evoluzione della morale dagli invertebrati all'uomo; la monogamia negli animali e nell'uomo; il sonno, il sogno e i loro enigmi nervosi; le stramberie sul ritorno dall'aldilà dopo incontri con angeli e profeti, che riempiono le librerie americane. La parte centrale è un panorama di temi chiave delle neuroscienze negli ultimi trent'anni, durante i quali le scuole leader si sono riconosciute nel concetto generale del funzionamento dei meccanismi cognitivi della Global Workspace Theory, proposta dal neuropsicologo Bernard Baars nel 1989. Il fatto che i centri di ricerca seguano criteri comuni e continuamente riprovati, ha portato a dati dei meccanismi cognitivi di grande significato, non solo per la ricerca ma anche per l'interpreazione di deficit e malattie cerebrali, con effetti anche nella giurisprudenza penale.
La Churchland, dopo aver chiarito che i neuroni funzionano in serie e in parallelo senza nessun direttore centrale cui potrebbe essere attribuita la coscienza, sintetizza che essa consiste dei meccanismi che ne formano i contenuti. Rilevante è anche la scoperta che i meccanismi che portano l'informazione fino alla coscienza e quelli dell'informazione che rimane incosciente sono gli stessi, e che il diventare cosciente dell'una e non dell'altra è un aspetto del funzionamento probabilistico dei sistemi nervosi. Negli stessi anni la riflessione filosofica ha prodotto la supervenienza, la mente estesa, l'autocoscienza prima della coscienza, la fisica quantistica che consentirebbe la libera volontà, la certezza che non siamo il nostro cervello, e avanti per questa strada. È ovvio che i due campi non potevano incontrarsi. Ci sono due posizioni drammatiche nelle scienze cognitive, dice la Churchland, una è quella di chi crede di aver trovato già ora, nonostante i molti e centrali problemi ancora senza soluzione, il segreto della coscienza (come, aggiungiamo noi, Antonio Damasio, Cristof Koch, Giulio Tononi) e chi sostiene che non si troverà mai. Per la Churchland è questione di tempo e di accumulo di conoscenza (e per questo il filosofo Colin McGinn la svillaneggia chiamandola «leader della tifoseria del cervello» (New York Review of Books May 7 2014)), anche se altri scienziati, sin dalle origini delle neuroscienze, come du Bois-Reymond, Vernon B. Mountcastle, Wolf Singer, hanno messo in dubbio che i meccanismi cognitivi del cervello possano capire fino in fondo sé stessi, come aspetto dei limiti della conoscenza umana. La neurobiologa inglese Sarah-Jayene Blakemore, nella recensione al libro della Churchland del 2002 (Nature-Neuroscience 6,649,2003), si chiese che cosa sarebbe stato della filosofia una volta che la scienza avesse risolto i problemi della coscienza, della morale, della volontà. Non tutte le oscurità saranno chiarite dalla scienza, e la natura della coscienza è probabilmente irraggiungibile, ma la conoscenza dei meccanismi naturali può aumentare solo con la metodologia della scienza.
ajb@bluewin.ch
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Patricia S. Churchland, L'io come cervello, traduzione Giambruno Guerrerio, Raffaello Cortina Editore, Milano, pagg. 308, € 28,00. Il volume è in libreria da questa settimana

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