Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 10:29.
L'ultima modifica è del 17 giugno 2014 alle ore 10:33.

My24

Arrivarono puntuali. Alle otto un cameriere annunciò l'entrata delle Loro Altezze Imperiali, e con un cenno Nicola II fece segno di iniziare. Si fece buio e nella sala proiezioni della residenza di Tsarskoe Selo apparve improvvisamente la Russia, immensa, quadrata e a colori. Era il 3 maggio 1909 e Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskij, chimico, fotografo, allievo di Dmitrij Mendeleev, membro della Società Imperiale Russa di Tecnologia, direttore della rivista «Fotograf-Liubitel», mostrava al suo sovrano il suo paese, un paese che forse il sovrano non conosceva.

Con lungimiranza politica, lo scienziato aveva evitato ogni immagine di città, nulla che parlasse della storia degli uomini e del loro potere, di come tenerselo e di come giustamente rivendicarlo. Era ancora nell'aria l'odore della "Domenica di sangue", l'eccidio compiuto dall'esercito il 22 gennaio 1905 contro una manifestazione pacifica di dimostranti, diretta al Palazzo d'Inverno per presentare una supplica allo zar. Prokudin-Gorskij, inventore di un originale procedimento di ripresa in tricromia, aveva puntato sulla bellezza della natura, foreste, cascate, fiumi, la campagna che riposa sotto la neve, le montagne che si alzano fino al sole, il sole che tramonta.

E di fronte alla magia di quelle lastre di vetro, impressionate in bianco e nero attraverso i filtri dei colori primari, blu, verde e rosso, e riproiettate con lo stesso sistema, Nicola II rimase folgorato e fece suo il sogno di Sergei Mikhailovich: fotografare tutto il Paese dal Baltico al Pacifico, dieci anni di lavoro, diecimila lastre, un volume, Gli splendori della Russia, e infinite proiezioni in ogni scuola dell'impero perché tutti i bambini potessero conoscere e amare la loro terra. Comunismo sentimentale? Forse. Un caso se pochi anni dopo, fucilato lo zar, il nobile Prokudin-Gorskij, nato nel 1863 a Murom in una tenuta di centoquaranta anime, veniva invitato da Anatolij Vasil'evicv Lunacvarskij a proiettare le sue fotografie proprio nel Palazzo d'Inverno di fronte a un pubblico meno ristretto, duemila persone?

Di questo pubblico abbagliato dai colori della realtà oggi facciamo parte anche noi grazie al splendido volume Voyage dans l'Ancienne Russie. Les photographies en couleurs de Serguei Mikhailovitch Procoudine-Gorsky, curato con passione da Véronique Koehler, responsabile delle collezioni del Musée Zadkine, un tempo atelier del famoso scultore russo. Destini lontani si sono dati appuntamento a Parigi. Nel 1910 Zadkine lasciava Vitebsk per raggiungere la capitale mondiale dell'arte. Nel 1922, dopo un passaggio in Norvegia e a Londra, arrivava anche Prokudin-Gorskij, insieme alla nuova moglie, Maria, sua assistente, e alla figlia Elena. La prima consorte e i tre figli erano già nella capitale francese.

Tra i bagagli di una fuga avvolta ancora nel mistero, il fotografo era riuscito a portare con sé circa duemila lastre e altrettante gli erano state sequestrate nel 1918 dalle autorità russe sul confine con la Finlandia: immagini di porti, ferrovie, attracchi fluviali, possibili bersagli in tempo di guerra. La collezione, tuttavia, non ne aveva risentito: il suo cuore era un altro, la natura. «Era questa la Russia che Ossip Zadkine aveva guardato l'ultima volta prima di lasciare il suo paese. Erano questi gli alberi, i tronchi, il legno, lo scenario potente che sarebbe diventato materia prima delle sue sculture. E cercando di ricostruire questo mondo per la mostra che inaugurava il nostro museo dopo il restauro, sono finita nell'archivio on line della Biblioteca del Congresso di Washington, e ho trovato un tesoro», spiega la curatrice. Le lastre di Prokudin-Gorskij erano state vendute dagli eredi all'istituzione americana nel 1948, ed erano ancora là. Un passo indietro? Torniamo in Russia, 1909. Tutto deve ancora accadere.

Al termine della proiezione, Nicola II concedeva dunque al fotografo un lasciapassare che gli garantiva libero accesso a ogni regione del Paese, comprese le zone chiuse. In più gli forniva un vagone-camera oscura, su cui viaggiare e sviluppare il materiale, e una barca per risalire i fiumi, visto che il primo soggetto della campagna fotografica, scelto dallo zar in persona, era il canale Mariinsky. È estate, i contadini mietono il grano, e nel cielo di un azzurro porcellana si stagliano le cupole verdi della chiesa di San Giovanni a Staraia Lagoda, sulla collina Malyshevaia.

Un anno dopo, a primavera, Prokudin-Gorskij esplora le sorgenti del Volga e fotografa Suzdal, la chiesa dell'Assunzione a Vladimir, e la semina delle patate nel monastero del Getsemani. A giugno la famiglia imperiale si riunisce per una nuova proiezione. Le immagini abbagliano, il lavoro continua, e il vagone di Prokudin-Gorskij arriva a Smolensk, prosegue oltre gli Urali, in Siberia, spingendosi in Turkmenistan e in Uzbekistan. I colori sono il blu dei mosaici, il giallo dei meloni, il rosso dei tappeti, l'azzurro di un burka che nasconde una donna di Samarcanda. Nel 1916, ormai a corto di soldi, il fotografo torna a nord, penisola di Kola, isole Solovki. Durante il viaggio, ritrova la campagna di Borodino, devastata un secolo prima da Napoleone.

La natura aveva cancellato ogni traccia di violenza, ma rimaneva Guerra e pace. E con grande senso strategico, Prokudin-Gorskij – per altro direttore della fabbrica di cannoni del suocero – aveva ritratto nel maggio del 1908 Leon Tolstoj. È il primo ritratto a colori della fotografia russa. È la Russia. L'azzurro della camicia dello scrittore è il cielo alto e buono, il nero degli stivali è la terra, la barba bianca, fluente, è la neve che scende su ogni cosa. Se Nicola II gli avesse negato il permesso di fotografare l'intero Paese, Prokudin-Gorskij poteva stare tranquillo. Aveva già tutto, in una sola foto.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi