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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 06:53.
Se pensiamo al dialogo filosofico tra atei e credenti, in Italia, vengono in mente i complimenti scambiati tra Scalfari e Papa Francesco, o l'ingenuo entusiasmo confessato da un ateo come Odifreddi quando trova nella posta la busta con la lettera di Joseph Ratzinger. Questi frammenti di dialogo un po' salottiero tra una Chiesa e una comunità sparsa di laici assomigliano al dialogo finale tra un padre e un figliol prodigo, in cui non è in questione la possibilità di vincere o perdere una disputa: per cui anche la qualità degli argomenti è tutto sommato secondaria. Diversamente vanno le cose negli Stati Uniti. Le questioni, radicate in secoli di tradizione filosofica, sono essenzialmente due: la critica della religione come fenomeno politico, e la possibilità (o meno) di interpretarla entro una cornice scientifica, come un «fenomeno naturale» (biologico, psicologico, sociale).
Dialettica e Vangelo
Quello angloamericano è un dibattito reale, come mostra il fatto che i suoi partecipanti tendono a concedere punti agli interlocutori. Un esempio recente è Culture and the Death of God (Yale Universiy Press, 2014) di Terry Eagleton, il libro di un pensatore marxista che esclude la possibilità di una società atea e rilancia il valore di una peculiare forma di cristianesimo. Eagleton passa in rassegna diversi modi esemplari in cui, a partire dall'Illuminismo, gli intellettuali europei hanno cercato di riempire la «funzione-religione» con nuovi contenuti oppure di rinunciarvi, come nel caso del postmodernismo. Seguendo l'argomentazione si sente l'aria viziata dei dipartimenti di cultural studies, in cui una pioggia di nomi e brevi frasi a effetto (che uniscono l'ironia di Marx al gusto aforistico di Adorno) compongono una «narrazione» dialettica, in cui diverse tesi appaiono e affondano, fino a risolversi nella proposta dell'autore-narratore, proposta in poche righe come un non plus ultra. Contestando ogni interpretazione morale, politica, o estetica della religione, Eagleton conclude con un'apologia del messaggio evangelico, in quanto esso non discute di idee, ma parte dal «corpo crocifisso» per promuovere una «critica» dell'ordine socio-politico. Un sogno di palingenesi sociale, libero dall'ingombrante accumulo delle ideologie moderne, può prendere le mosse dalla «solidarietà con i poveri e i privi di potere». Ma questa conclusione non si sottrae a questioni classiche, preilluministiche, che Eagleton manca di ricordare: articolare il messaggio cristiano in termini etico-politici non comporta forse un impegno argomentativo e razionale, potenzialmente universalizzabile al di fuori della cultura cristiana da cui proviene Eagleton? E qual è il rapporto tra questo contenuto etico-religioso e la fede in Dio?
Esperienze mistiche
Un libro molto utile per affrontare questi nodi – stavolta limpidamente argomentato – è The Soul of the World (Princeton University Press, 2014) di Roger Scruton. Per difendere la visione del mondo religiosa dal pensiero naturalistico Scruton afferma prima di tutto che l'esperienza religiosa è un complesso di fenomeni irriducibili, come la preghiera, l'amore di Dio, l'obbedienza e la sottomissione, il senso della «reale presenza» di Dio nel sacro. Nessuna spiegazione in termini d'istinti, vantaggi adattativi o complessi psicologici può comprenderne adeguatamente il contenuto. Per difendere questa tesi Scruton paragona l'esperienza religiosa del mondo a quella di un dipinto, o di una melodia polifonica, che possono essere spiegate, ma giammai comprese, in termini di macchie di colore o sequenze di suoni. Fin qui si tratta di un tipo di argomento antiriduzionistico ben noto nel dibattito sulle scienze cognitive americane, su cui convergono oggi moltissimi filosofi, credenti e non. Ma la curvatura originale dell'argomento di Scruton sta nel passare da questa autonomia del significato in genere alla sua declinazione religiosa. Secondo Scruton anche «legami trascendenti» come matrimonio, casa, nazione, rapporto con Dio sarebbero definibili entro questa cornice fenomenologica, e perciò al riparo da qualsiasi decifrazione in termini di processi naturali. Ma quest'argomentazione ha un punto debole: dapprima Scruton distingue la pura trascendenza, a cui rimanda l'esperienza religiosa, da ogni categoria mondana; poi tenta di far rientrare in questa esperienza contenuti culturali determinati, che possono essere compresi anche diversamente. Per esempio la musica sacra dell'Occidente moderno, cui Scruton dedica molte pagine, sarebbe un'esperienza in cui ci sentiamo chiamati in causa da qualcosa di non oggettivo, che rimanda a dimensione trascendente. Io stesso confesso di non poter trattenere un'emozione fortissima, di distacco dal corpo e di appartenenza a una dimensione che mi oltrepassa, ogni volta che ascolto alcuni pezzi musicali, come parti del Requiem di Mozart o del Requiem tedesco di Brahms (e lo stesso vale per certi romanzi o film). Forse si tratta di un fenomeno psicologico, radicato nel mio passato; ma di certo non ci trovo nessun nesso con i sacramenti cristiani che ho ricevuto nella mia adolescenza, e non credo che in questa esperienza si possa trovare un riferimento alla religione storica.
Ritorno a Spinoza
Così se Eagleton manca il problema della trascendenza, su Scruton grava il sospetto che qualsiasi presunta manifestazione della trascendenza sia ancora una faccenda umana. Sospetto declinato nella sua maniera più radicale da un filosofo che precede tutte le vicende ripercorse in questi libri, Spinoza, che considerò miracoli, profezie e qualsiasi altra espressione storica incapaci di cogliere adeguatamente l'essenza di Dio. Il suo lavoro di critica storica e psicologica delle Scritture, insieme all'ipotesi che le religioni storiche possano convergere in un semplice nocciolo di trascendenza e morale universale, è esempio di un percorso più volte tentato nella storia del pensiero occidentale, spesso considerato "datato" perché debole in termini di persuasione, ma a cui inesorabilmente si tende a ritornare, perché – come ha ricordato Stephen Nadler in Un libro forgiato all'inferno (Einaudi, 2013) – a quello «scandalo» risale l'origine della nostra cultura secolarizzata. Un percorso per certi versi analogo è tentato, di recente, da Religione senza Dio di Ronald Dworkin (Il Mulino, 2014) secondo cui la convergenza sul «valore intrinseco» della vita umana e della natura potrebbe individuare una base comune per una religione che sfugga al disastro della conflittualità politica. Che una simile ricerca di valori religiosi universali, tentando di aggirare le dispute sulla tradizione e sulla scienza della natura, possa accomunare il panteismo di Spinoza e un pensiero che fa a meno di Dio non è un paradosso casuale nella nostra tradizione: proprio in questa frattura mai rimarginata al suo interno, molto prima che in una contingente opposizione al fondamentalismo islamico, l'esperienza religiosa occidentale porta il segno della sua unicità.
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