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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2014 alle ore 08:14.

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Chi ha una certa consuetudine con scimpanzè e primati, sa bene che hanno un debole per le caramelle e le cose dolci. Esprimono in tal modo un loro gusto preciso, una certa attitudine addirittura all'edonismo nel preferire un certo tipo di cibo. Nella storia evolutiva del l'uomo, «la scimmia che cucina», gioca un ruolo importantissimo la trasformazione del basico atto del mangiare per nutrirsi, comune a tutti gli altri animali, in un vero e proprio gusto per il cibo, gusto che si accompagna al l'espressione linguistica delle preferenze e alla condivisione sociale dell'atto del mangiare. Rosalia Cavalieri, nel suo saggio Storia evolutiva del gusto, racconta in maniera appassionata e brillante uno degli aspetti più misteriosi dell'evoluzione della nostra specie.
Nello stesso momento in cui homo assume la postura eretta, che gli consente di avere una visione più aperta dello spazio e di lasciare libere le mani per manipolare oggetti e per trasformarli, egli abbandona la dieta vegetariana, abbraccia definitivamente una dieta onnivora che prevede un consumo cospicuo di carne e, soprattutto, lentamente riesce a esercitare il suo definitivo dominio sul fuoco, cosa che gli permette di cuocere gli alimenti, rendendoli più digeribili, sani e morbidi alla masticazione. Homo ergaster-erectus (1,6 milioni di anni fa), homo di Neanderthal (300mila anni fa) e il nostro vero antenato paleolitico homo sapiens di Cro-Magnon (40mila anni fa) sono i protagonisti di un tale mirabile passaggio evolutivo. Le ricadute sul piano fisiologico e cognitivo sono sorprendenti: la dentatura si assottiglia e si assesta in una posizione di maggiore equilibrio tra mascella e mandibola per una migliore masticazione che non prevede più lo stritolamento di gusci e di ossa di animali; l'intestino si riduce enormemente in virtù di una dieta con cibo più facilmente digeribile; il cervello aumenta di dimensioni, e l'energia risparmiata in una digestione più celere viene utilizzata per sviluppare la cognizione, con l'utilizzo di una gran quantità di glucosio, cosa che rende il cervello l'organo più "goloso".
È in questo periodo che avviene anche una delle trasformazioni più significative della nostra specie: l'abbassamento della laringe e la creazione di una cavità di risonanza nella faringe, che permette l'articolazione di suoni linguistici. L'uomo che cucina è dunque un uomo che parla, un uomo sociale che condivide non solo il momento della caccia e della produzione del cibo, mediante agricoltura e allevamento, ma che fa anche del consumo degli alimenti un'occasione sociale, l'occasione più importante, durante la quale confrontarsi con gli altri membri del gruppo. Il bioantropologo Richard Wrangham definisce questa tappa dell'evoluzione la «cooking hypothesis», sottolineando come l'abitudine a cuocere il cibo sia da considerarsi essenziale nel processo di ominizzazione. Il controllo del fuoco, «questa competenza universale che si riscontra in tutte le società conosciute» – sicché tutte le culture riconoscono il loro Prometeo che ha sottratto il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini –, rappresenta uno degli elementi cardinali che hanno mediato e permesso l'innesto della cultura nella natura.
Da quando il primo cuoco della nostra specie, erectus, ha iniziato a usare il fuoco per arrostire, e anche per riscaldarsi – motivo per cui poco a poco la specie homo ha perso la pelliccia –, le tappe sono state parecchie: fondamentale, però, fa notare Cavalieri, è il momento in cui si inizia a utilizzare la pentola, che consiste inizialmente in grossi gusci di molluschi e carapaci riutilizzati e solo successivamente nella produzione di veri e propri manufatti in terracotta; separando il cibo dal fuoco, l'apporto energetico migliora enormemente, così come anche il sapore. Nasce dunque la cucina, insostituibile tanto quanto il linguaggio, che nei secoli ha saputo trasformarsi in vera e propria arte, e grazie alla quale la ricerca del buon sapore e diventata sapere.
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Rosalia Cavalieri, E l'uomo inventò il gusto. Storia naturale del gusto, il Mulino, Bologna, pagg. 146, € 14,00

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