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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2014 alle ore 08:15.

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Ogni quattro anni, Wimbledon si trova alle prese con una concomitanza non del tutto gradita, quella dei Mondiali di calcio. Per decenni, l'All England Lawn Tennis and Croquet Club l'ha tranquillamente ignorata, forte della convinzione che il pubblico del tennis non abbia nulla a che vedere con quello più plebeo (almeno in Inghilterra) del football.
Quando però anche l'evento tennistico più celebrato e più aristocratico del mondo – in fondo, la patronessa del club è la regina e il presidente suo cugino, il duca di Kent – è diventato un fenomeno quasi di massa (dai cancelli di Church Road è transitato lo scorso anno circa mezzo milione di persone), a Wimbledon, dove le ragioni commerciali non sono meno forti della difesa a oltranza della tradizione, hanno pensato bene di adeguarsi. Spingendosi al punto, nelle ultime edizioni dei Mondiali, di mostrare un po' di pallone sul maxischermo di quella che un tempo era battezzata Henman Hill, la collina dei supporter dello sfortunato Tim, appassionati ma senza un biglietto per vederlo sul campo centrale, e oggi rinominata Murray Mount. Quest'anno (inizio domani, conclusione il 6 luglio), il fuso orario diverso con il Brasile aiuta in parte a risolvere conflitti di programmazione e, dopo la sconfitta nel match con l'Italia, non è neppure da escludere la possibilità che l'Inghilterra vada a casa dopo il primo turno e quindi, a partire dal secondo giorno del torneo di tennis, il problema sia superato. Almeno per quel che riguarda la parte più sciovinista del pubblico, che potrà così riservare le sue attenzioni, appunto, a Andy Murray. Il quale con il successo dell'anno scorso ha finalmente risolto lo psicodramma nazionale, che a ogni mese di giugno dal 1936 portava a evocare il fantasma di Fred Perry.
Non è facile per nessuno confermarsi campione a Wimbledon, ma quest'anno, almeno, lo scozzese non si porterà più sulle spalle il peso delle aspettative di un popolo. E per di più si presenterà con la intrigante novità di un coach donna, l'ex campionessa francese Amelie Mauresmo, che esperienza di vittoria a Wimbledon ne ha, avendo trionfato nel 2006.
Murray ha anzi il vantaggio di arrivare al l'All England Club non in sordina (il tambureggiamento dei tabloid inglesi non lo permette), ma coperto dalla vasta ombra dei due superfavoriti, Rafa Nadal e Nole Djokovic. I due dominano la scena: a giudicare dalla finale del Roland Garros, è Nadal, che oltre tutto sembra faticare meno nella transizione dalla terra all'erba, ad avere più carte in mano. Appare curioso dire che oggi in coda ai fab four c'è Roger Federer, che sui prati londinesi ha vinto 7 volte e ha appena riconfermato, nel gioiellino di Gerry Weber a Halle, il suo feeling con l'erba. Ma per lo svizzero, in fondo in fondo, i fab four sono oggi le sue due coppie di gemelli, anche se probabilmente sa che Wimbledon è la sua occasione per vincere ancora un torneo dello Slam e quindi si giocherà le ultime chance della carriera. Nella ricerca di nomi nuovi, i primi che vengono a mente sono Grigor Dimitrov, etichettato a seconda dei momenti come "Baby Federer" o "Mister Sharapova", e che tra l'altro ha vinto la settimana al Queen's, e il bombardiere Milos Raonic.
Chi voglia saperne di più di tennis maschile, magari mentre fa la coda, la famosa "queue", anche di notte, per aggiudicarsi i biglietti dell'ultim'ora, non ha che da sfogliare Atp Story (Effepi Libri, Monte Porzio Catone, 2014, pagg. 168, € 12,00), raccolta fresca di stampa di statistiche dell'era open, compilata con pazienza certosina, passione e competenza da Luca Marianantoni: dalle sue pagine non escono solo collezioni di numeri, ma personaggi e sfide del tennis di ieri e di oggi. Con un tributo all'impareggiabile maestro della statistica sportiva, Rino Tommasi.
Nel torneo femminile, spinge invece un'armata di nuova generazione, da Simona Halep a Eugenie Bouchard, a Garbine Muguruza. A Roland Garros, l'argine l'ha fatto Maria Sharapova, che qui festeggia il decennale di una clamorosa vittoria su Serena Williams e ha una voglia matta di ripetersi. Le condizioni psico-fisiche di Serena sono una grande incognita, ma, se è a posto (ed è un grosso "se"), è sempre difficile scommettere contro di lei.
All'All England Club tutto è pronto per il debutto. Anche le casse sociali: appena rimpinguate da un'emissione di quelle strane obbligazioni quinquennali, le debentures, che non pagano interessi, ma danno diritto a una coppia di biglietti per ogni giorno di gioco. A 50mila sterline, come sempre sono andate a ruba. E proprio alla vigilia del torneo, l'All England ha così intascato 103,5 milioni di sterline (130 milioni di euro), che serviranno tra l'altro a costruire un tetto retrattile, come quello del Centre Court, anche per il campo numero 1, in modo da consegnare definitivamente al passato la pioggia, almeno per le sfide d'élite. E poi ci sono i diritti televisivi, i "fornitori ufficiali", un po' come quelli di Sua Maestà (fra cui l'italiana Lavazza), e la più grande operazione di catering legata a un evento sportivo in Europa. La presenza in consiglio di un ex governatore della Banca d'Inghilterra, Mervyn King, assicura che le celebrate fragole con panna non soffrano d'inflazione, ferme a 2 sterline e mezzo la vaschetta come nel 2010.
Anche nell'anno dei Mondiali, non si vive di solo football.
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