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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2014 alle ore 22:59.

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Fine giugno. Spazio al cinema d'autore che, forse, con questi temporali estivi, potrebbe persino trovare un pubblico motivato. Partiamo subito dal nostro film della settimana, Stories We Tell di Sarah Polley, passato lo scorso anno alle Giornate degli Autori a Venezia.
Prima assurta alle cronache e soprattutto alle critiche, positive, per le sue performance d'attrice, poi per quelle da cineasta, si conferma fenomenale in entrambi i ruoli. Sa incarnare e scarnificare, da interprete come da attrice, i sentimenti, l'anima dei suoi protagonisti, la parte sbagliata di ognuno di noi.

Con la sua sensibilità visiva e narrativa non emargina l'errore, ne fa piuttosto l'elemento fondante della vita, dell'amore, dei rapporti e soprattutto del suo cinema: i suoi lavori sono sempre un inno alla fragilità fisica e morale di ognuno di noi. Qui, poi, fa un salto in più: se in Away from her ci regala la tragedia di un uomo innamorato di una donna la cui mente sta volando via, se in Take This Waltz celebra l'inquietudine femminile nei rapporti sentimentali, qui racconta tutto. E lo fa con un documentario che usa il genere solo come (pre)testo per poi essere thriller, indagine psicologica, biopic. Sì, perché le Stories We Tell sono quelle che si raccontano nella famiglia Polley. A partire da quello strano e ingombrante papà. Saranno loro due a darci un finale che i film di fiction, spesso, se lo sognano. E a dipingere un mosaico emotivo di rara potenza.

C'è un altro documentario da promuovere questa settimana. Le cose belle, peraltro, sono quasi un unicum nel genere: è un sequel (a dir la verità recentemente ne ha fatto uno anche l'ottimo Pippo Mezzapesa). I registi Piperno e Ferrente hanno occhio, cuore e talento che permettono loro di tornare al passato, a seguire le vite di ragazzi che in passato sono stati protagonisti di un loro film. Forse per risarcirli del pezzo d'esistenza che gli hanno "rubato", forse per una curiosità inevitabile, forse per non abbandonarli. Si è girato per qualche giorno, ogni anno, per dieci anni: non un ritorno opportunista, quindi, ma un lavoro costante, continuo, mai finito. Il risultato è un'opera interessante, coinvolgente, particolarissima e vera. Era il 1999, i due giravano Intervista a mia madre per RaiTre. Incontrano in una città unica e bellissima e allo stesso tempo terribile come Napoli dei ragazzi che rimarranno dentro chi li ha visti come a chi li ha diretti. E così è impossibile non ritrovarsi, tutti insieme, a cercarli e conoscerli di nuovo. Perché i due registi le cose belle, a dirla tutta, nelle vite di quei giorvani non le trovano quasi mai. Ma le altre sanno raccontarle senza retorica e con acuta sensibilità.

Di sensibilità ne ha da vendere anche quel giovane ultracentenario che risponde al nome di Manoel De Oliveira. Gebo e l'ombra ha un impianto classico, statico e teatrale, e una straordinaria attrice, Claudia Cardinale. Ha il sapore di una parabola morale e dei dialoghi vivaci. Certo, il film è per amatori del genere, faticoso e mai condiscendente verso il pubblico. Ma di sicuro interessante.
Discorso valido anche per La gelosia, adatto ai fan più hard di un certo autorialismo francese. Philippe Garrel affida un pezzo della sua biografia amorosa e sentimentale a Louis ed Esther Garrel, in un film di finzione in cui l'oggetto e il soggetto del desiderio è Anna Mouglalis. Un incesto creativo, decisamente meno riuscito di quello della Polley. Questo è cerebrale e retorico, confezionato in un bianco e nero elegante ma triste quanto la disperazione del protagonista maschile (Louis Garrel), dedito all'umiliazione costante di sé per la sua bella. Sedotto e abbandonato, illudendosi per un attimo d'essere seduttore. Un banalissimo uomo, insomma.

Chiudiamo con la delusione della settimana, Big Wedding. Remake del francese Mio fratello si sposa, pieno di grazia e acume, di leggerezza e intelligenza, in verità sembra un incrocio tra Mamma Mia (c'è pure Amanda Seyfried di nuovo sull'altare) e l'ennesimo capitolo di Ti presento i miei (vedi la presenza di Robert De Niro). Quest'opera è una curiosa accozzaglia di star che fanno i loro ultimi personaggi, che incarnano gli stereotipi in cui li hanno incastrati negli ultimi anni. Tutti nello stesso film, senza armonia. Keaton, Sarandon, Heigl. E Bob, uguale a se stesso e lontano anni luce dalla sua icona. L'ennesimo film matrimoniale sulle diversità familiari non sa farsi amare, ma annoia e conquista raramente, quasi per forza d'inerzia.

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