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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 08:00.
Alla fine del 2009, in piena crisi, hanno sfondato quota 1,5 milioni. Con un aumento di quasi 111mila unità rispetto al 2007 e un tasso di crescita del 7,9 per cento. Sono i numeri dei conti correnti che gli immigrati hanno aperto nelle banche del nostro paese secondo l'ultimo monitoraggio curato dall'Associazione bancaria italiana (Abi) e dal Centro studi di politica internazionale (Cespi). Cifre e tendenze sull'offerta di servizi per gli stranieri da parte del nostro sistema bancario che saranno presentate oggi a Roma in una giornata di lavoro in collaborazione con la fondazione Ethnoland.
Un modo anche per fare il punto su quello che gli esperti chiamano "tasso di bancarizzazione" degli immigrati. Le rilevazioni, suddivise in due tipologie (a 21 e 13 nazionalità presenti in Italia), mostrano andamenti differenti. Nel primo caso - quello che tiene conto degli stranieri provenienti da ventuno paesi - il tasso di crescita dei conti correnti nel biennio 2007-2009 è inferiore a quello dell'aumento numerico della popolazione immigrata (7,9% contro il 32%). Nel secondo - quello ristretto a tredici - i dati cambiano: a fronte di un aumento del 39% della popolazione, i nuovi conti correnti sono aumentati addirittura del 75 per cento. Negli ultimi anni, poi, sempre più migranti hanno fatto ricorso a strumenti finanziari "evoluti" come l'internet banking, le carte di credito e i prodotti di accumulo risparmio.
Se si considera il campione allargato, il tasso di bancarizzazione nel 2009 è sceso al 61%, perdendo in due anni sei punti. «Il calo è dovuto al fatto che dal 2007 è aumentato il numero degli stranieri di recente immigrazione – spiegano i tecnici dell'Abi –. Il processo di bancarizzazione non avviene appena si entra in Italia, ma richiede qualche anno: lo straniero ha come obiettivo primario la stabilità economica e lavorativa, poi può pensare di rivolgersi alla banca». Non è solo questo. Perché secondo l'Abi bisogna tenere conto anche delle dinamiche occupazionali: il lavoro rappresenta il primo fattore di bancarizzazione. Negli ultimi anni la cura e l'assistenza alla persona hanno registrato un flusso d'ingresso rilevante. Un settore «che non richiede subito l'apertura di un conto bancario». Soprattutto: è dominata dalla componente femminile. «Le donne immigrate, al contrario degli uomini, sono meno propense ad aprire un conto corrente».