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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2012 alle ore 06:41.

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(Afp)(Afp)

Arresti domiciliari a Meta di Sorrento per Franco Schettino. Esce dal carcere il comandante della Costa Concordia naufragata venerdì sera davanti all'isola del Giglio. Lo ha deciso il gip di Grosseto, Valeria Montesarchio, che non ritiene esistano rischi di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione dei reati contestati dalla Procura maremmana (omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono di nave). Perplessità in Procura: «Non capisco, valuteremo» ha detto il procuratore di Grosseto Francesco Verusio. Capi d'imputazione terribili, ai quali potrebbe aggiungersi il danno ambientale.

Da un primo calcolo, se uscissero dai serbatoi della Concordia le 2.400 tonnellate di carburante, il disastro ecologico per il Parco nazionale dell'arcipelago toscano, uno dei mari più incontaminati del Mediterraneo, sarebbe nell'ordine del miliardo, tra costi diretti e indiretti, compresi 50 milioni che è il valore dell'attività ittica e una perdita di almeno 300 milioni sul versante turistico.
In questa tragedia, con il numero delle vittime salito a 11 e 22 i dispersi ufficiali, ci sono più interrogativi che certezze. Nonostante sia stato già catalogato dai media di mezzo mondo come la conseguenza della spavalderia incosciente di Schettino (in pieno naufragio, quasi frastornato, chiese calze asciutte e caffè agli abitanti del Giglio allibiti), il naufragio rimane un mezzo mistero.

Troppe cose sono inspiegabili, anche se non ha bisogno di commenti l'audio della drammatica telefonata tra Gregorio De Falco, capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, e il comandante della Concordia, la sera di venerdì, quando la nave da crociera è ormai adagiata sugli scogli davanti a Giglio porto. Schettino è incredibilmente già a terra e viene invitato (invano) più volte a fare il suo dovere, a risalire a bordo e collaborare al salvataggio dei passeggeri. Eppure il difensore del comandante, l'avvocato Bruno Leporatti, dice che Schettino «non ha abbandonato la nave e si è attenuto alla procedura» dopo l'urto con lo scoglio delle Scole, comparso «improvvisamente davanti al percorso di navigazione della Concordia».

Siccome gli scogli non si muovono, è certo che la nave della Costa crociere non doveva seguire quella rotta suicida. È ugualmente certo che l'sos sarebbe dovuto partire subito dopo l'urto che ha aperto uno squarcio di 70 metri nel lato sinistro della poppa, anziché minimizzare l'accaduto come invece è stato fatto per quasi due ore nei confronti della capitaneria e dei passeggeri. E, infine, è sempre certo che senza la manovra di accosto all'isola (rivendicata da Schettino), con inversione della direzione di marcia, le dimensioni della catastrofe sarebbero state ben più gravi in termini di vite umane: almeno un migliaio di vittime in caso di affondamento. Ma perché la Concordia è passata così vicino al Giglio, una consuetudine che proprio per questo doveva essere fatta in sicurezza (non a soli 150 metri dalla riva)? Come mai gli strumenti di bordo non hanno segnalato l'anomalia e il pericolo? Perché non è partita la richiesta di soccorso? Schettino era in condizioni psicofisiche di comandare la nave? L'esame tossicologico a cui ieri è stato sottoposto lo dirà. E altre indicazioni arriveranno dalla scatola nera definitivamente recuperata ieri.

Nessuna delle spiegazioni fin qui sentite e lette convince del tutto. Cosa facevano, per esempio gli altri ufficiali a bordo? E com'è possibile che, in una notte limpida di luna e con il mare piatto, nessuno membro dell'equipaggio si sia accorto della rotta di collisione con l'isola? Lo squarcio lungo lo scafo della nave, poi, fa pensare a un disperato tentativo di evitare gli scogli, con una brusca virata a destra che ha esposto all'urto il lato poppiero sinistro. Qualcuno (Schettino dichiara di essere stato lui al timone) si è reso conto solo all'ultimo momento del pericolo? L'inchiesta coordinata dal procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, dovrà rispondere a tutte queste domande.

La macchina dei soccorsi, intanto, continua a lavorare senza sosta. I palombari-incursori (del comando Comsubin) della Marina militare, utilizzando micro-cariche esplosive hanno aperto dei varchi nello scafo sommerso, da cui sono stati estratti altri cinque corpi. I morti salgono così a 11 e 28 sono i dispersi. Ma il balletto dei numeri ha suscitato più di una polemica. «Mi ha fatto male leggere che c'era un caos nelle liste: non è vero, non ci sono state negligenze», ha commentato il capo della Protezione civile nazionale, Franco Gabrielli, ieri in visita all'unità di crisi di Grosseto. Il fatto è che la lista ufficiale dei passeggeri è in fondo al mare, nella parte allagata della Concordia.

«Le operazioni di soccorso avvengono in condizioni molto complicate - ha sottolineato Gabrielli - perlustrare la nave è difficile e pericoloso, e non vogliamo soccorritori kamikaze. La priorità rimane il recupero di qualcuno ancora in vita e successivamente, ma sempre con urgenza, guardiamo al rischio ambientale». La situazione, dicono gli esperti, è sotto controllo: il relitto è stato isolato con le paratie assorbenti e il carburante, il cui recupero è previsto che inizi oggi, è ancora nei serbatoi. Legambiente, durante un incontro al Giglio con il sottosegretario ai Trasporti, Guido Improta, ha chiesto «rotte sicure per le navi da crociera e per i trasporti pericolosi», un provvedimento auspicato anche dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. Le agenzie di viaggio e turismo aderenti a Confindustria e le associazioni dei consumatori hanno deciso di creare una task force congiunta per affrontare casi come il naufragio della Concordia. La speranza è che non si ripetano mai più.

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