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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2012 alle ore 07:00.

«Spero che la scelta venga operata con saggezza – osserva Francesco Loreto, direttore dell'Istituto per la protezione delle piante del Cnr – perché in campo agroambientale abbiamo grandi eccellenze e la Toscana non può dimenticarsi di un settore così importante per la propria economia». In questo momento, Loreto sta collaborando a un progetto internazionale finanziato dalla Bill and Melinda Gates Foundation (10 milioni di dollari) e dall'Unione Europea (6 milioni di euro) per sviluppare un nuovo tipo di riso, che sia capace di aumentare la produttività della pianta, ormai ferma da anni, dopo una lunga fase di crescita. «Visto che il riso sfama oltre un terzo della popolazione mondiale – dice il ricercatore – non si tratta di uno scherzo».

Ma non crede che tutti i docenti e tutti i dipartimenti svantaggiati dalla futura strategia regionale, finiranno per lamentarsi? «Dico solo che c'è bisogno di criteri oggettivi – risponde Loreto – che nel nostro scientifico sono molto chiari: la capacità di reperire fondi, nonché la quantità di pubblicazioni scientifiche prodotte e il loro impatto globale».
In quest'ultimo caso, c'è anche un metro internazionale di calcolo: si chiama indice-H e mette in conto giustappunto la quantità di paper pubblicati sulle riviste scientifiche internazionali e quante volte questi vengono poi citati in altri lavori. Guardando l'indice-H di Barone, Inguscio e Loreto ad esempio, tutti e tre risultano fra i primi cento scienziati italiani (fra il 40º e il 71º posto). Purtroppo nessuno calcola l'indice-H della ricerca regionale, perché direbbe finalmente qualche verità in più.
Ma c'è un altro parametro che parla chiaro e forte: il saldo scientifico regionale è negativo. In altre parole, escono più cervelli di quanti non ne entrino. «Nonostante la vocazione e l'attrattiva internazionale, la Toscana non riesce ad attirare "cervelli" stranieri. Anche nel caso della Scuola Normale, il bacino di riferimento resta l'Italia. Nel mio laboratorio ci sono sì cinque ricercatori non italiani, ma quelli che si sono trasferiti all'estero sono assai di più».

Nell'era della competizione accademica, dove le grandi università (in primis quelle anglosassoni) competono per avere i migliori professori e i migliori studenti – per poi attirare più fondi e investimenti – questo non depone bene per l'Italia. Ma, fatalmente, ancor meno per la Toscana, che avrebbe le caratteristiche (anche culturali, paesaggistiche e perfino... alimentari) per attirare scienziati da tutto il mondo. «E il bello – commenta Barone – è che il mio laboratorio non soffre neppure per scarsità di fondi o di risorse». Forse la futuribile convergenza fra le istituzioni, la nascita della ragnatela toscana, potranno alleviare questo problema. Ancorché nel lungo periodo.

Barone sta lavorando a un nuovo tipo di museo virtuale che verrà presentato nei prossimi mesi, ma anche a un nuovo laboratorio di chimica e cosmologia computazionale «dove viene simulata l'apparizione della vita in diverse circostanze, terrestri ed extraterrestri».
Inguscio, che ha fondato il Lens (European laboratory for non-linear spectroscopy) un autentico centro di eccellenza ospitato dal nuovo polo universitario e scientifico di Sesto Fiorentino, sta manipolando il moto degli atomi con il laser a temperature prossime allo zero assoluto «per trovare soluzioni che aprano la strada ai computer quantistici del futuro».
Loreto, oltre al progetto sul riso, sta studiando i processi di comunicazione fra le piante e altri microorganismi, nel tentativo di «capire i meccanismi per difendere il mondo vegetale dagli stress ambientali, come i cambiamenti climatici».

Nella moderna Era della conoscenza, la ricerca e la conseguente proprietà intellettuale sono la nuova ricchezza delle nazioni. Ma anche delle regioni.

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