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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2014 alle ore 16:45.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:28.

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La decisione della Corte tedesca di rinviare il caso alla Corte europea smorzerà altresì l’efficacia del programma Omt, perché la Bce non oserà acquistare titoli di Stato prima che venga emessa una sentenza. La ragione è semplice: il piano Omt non è mai stato attivato; usarlo ora toglierebbe alla Bce la possibilità di declinare l’appello per il fatto che nessuna azione è stata realmente intrapresa.

Quanto alla sostanza del caso, la Corte tedesca ha ragione a sostenere che il programma Omt potrebbe condurre a una significativa ridistribuzione della ricchezza tra gli Stati membri dell’Eurozona se i bond acquisiti fossero tenuti fino alla scadenza. La cancellazione delle perdite su questi titoli colpirebbe i contribuenti in altri Paesi, a causa dell’erosione dei profitti conseguiti dai ministri nazionali delle finanze con i prestiti di moneta autostampata (signoraggio). E, ovviamente, anche qualsiasi trasferimento fiscale necessario per prevenire la cancellazione di queste perdite andrebbe a colpire i contribuenti.

Sì, il trucco escogitato dalla Bce per calmare i mercati, ossia trasferire il rischio di default dagli investitori scaltri ai contribuenti fiduciosi, ha funzionato. Il piano Omt equivale a un’assicurazione gratuita contro il default dei Paesi del Sud Europa, sovvenzionando così il ritorno dei flussi di capitale privato verso quelle aree dove prima venivano dilapidati. Ma ciò non basta a legittimare il programma.

La Corte tedesca fa bene anche a sostenere come gli acquisti dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà non possano essere considerati una politica monetaria, e che quindi vanno oltre il mandato della Bce. Negli Stati Uniti o nella Confederazione svizzera, ad esempio, non esiste un equivalente al ruolo di prestatore di ultima istanza della Bce per le aree politiche regionali di un’unione valutaria. La Federal Reserve americana acquista i titoli di Stato federali e non quelli degli Stati in difficoltà economiche come la California o l’Illinois.

Infine, la Corte tedesca ha ragione a disapprovare l’obiettivo della Bce di ridurre i premi sui tassi di interesse dei titoli di Stato. La Bce sostiene di voler migliorare la trasmissione della politica monetaria, ma i premi sui tassi di interesse sono il principale meccanismo attraverso cui può essere evitato un debito eccessivo all’interno dell’Eurozona. Se gli Stati si indebitano troppo, la probabilità che riescano a ripagare i debiti diminuisce, e i creditori, in cambio, chiedono tassi di interesse più alti. Questo, a sua volta, riduce la loro inclinazione a contrarre prestiti.

La crisi economica nel Sud Europa è nata da una bolla creditizia inflazionistica derivante dall’assenza di premi sui tassi d’interesse, e ha privato i Paesi coinvolti della loro competitività. I differenziali dei tassi d’interesse, compresi i premi che rispecchiano il grosso rischio di un’uscita dall’Eurozona e di un riallineamento dei tassi di interesse per ristabilire la competitività, sono cruciali per l’esistenza, la stabilità e l’efficienza allocativa a lungo termine dell’unione monetaria.
Traduzione di Simona Polverino

Hans-Werner Sinn è professore di economia e finanze pubbliche all’Università di Monaco e presidente dell’istituto tedesco Ifo.

Copyright: Project Syndicate, 2014.