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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2014 alle ore 11:35.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:25.

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Ovviamente, tale onere è maggiore per le industrie chimiche e simili. Tuttavia, le industrie ad alta intensità energetica di solito beneficiano di un'esenzione dalle tasse sulle emissioni di carbonio; inoltre, anche in questi settori, la competitività va considerata in una prospettiva molto più ampia del semplice confronto statistico. Ad esempio, fattori come una manodopera altamente qualificata, oppure i vantaggi derivanti dall’integrazione in gruppi ben funzionanti possono avere un peso molto maggiore nella valutazione complessiva.

Chiaramente, tali considerazioni non garantiscono che l'aumento dei prezzi dell'energia non possa, a un certo punto, mettere a repentaglio la competitività europea. Di fatto, ormai sono anni che i nuovi investimenti in impianti chimici crescono a un ritmo lento.

Tuttavia, anche se questo rischio va preso sul serio, il passato suggerisce che può esserci un’alternativa al ritiro delle politiche climatiche. Un punto interessante è che l'aumento dei prezzi dell'energia è stato accompagnato non solo da una competitività relativamente forte, ma anche da una significativa riduzione delle emissioni di CO2. L’industria chimica europea ha dimezzato le sue emissioni di gas serra rispetto al 1990, pur incrementando la produzione del 20%. Ciò suggerisce che una rapida riduzione delle emissioni a volte può perfino sostenere la competitività di un'impresa.

In uno su specifiche sostanze chimiche commissionato dalla European Climate Foundation, alcuni esperti di McKinsey hanno individuato la possibilità di una ulteriore riduzione del 50-75% delle emissioni di CO2. Inoltre, si stima che, nel 60-70% dei casi, la possibilità di una riduzione supplementare non avrebbe alcun effetto, anzi semmai rafforzerebbe la competitività del settore interessato. Questo perché un maggior ricorso al riciclaggio abbassa i costi, migliorando la competitività delle imprese, e al tempo stesso riduce le emissioni e favorisce nuovi approcci, ad esempio l'innovazione intersettoriale.

Di certo non sarebbe saggio lasciare che la bolletta energetica dell'Europa lieviti a dismisura in nome di ambiziose politiche climatiche. Ci sono modi più intelligenti per ridurre le emissioni che semplicemente aumentare i costi a carico dell'industria e dei consumatori. Altrettanto insensato sarebbe, però, ripiegare su politiche meno ambiziose, bloccando i progressi fatti fin qui per contrastare il cambiamento climatico, senza avere la certezza che così facendo la competitività europea aumenterebbe.

Il nuovo paradigma dovrebbe incentrarsi sulla ricerca di sistemi per ridurre le emissioni di CO2 che, in ultima analisi, puntino alla produzione di sostanze migliori a costi più bassi. Questo, fra l'altro, aiuterebbe i produttori europei a conquistare nuovi mercati nei paesi emergenti, dove la domanda di prodotti chimici ad alto valore aggiunto, già prodotti in Europa a livello competitivo, è destinata a crescere.

L'ultima cosa di cui un’Europa sfinita dalla crisi ha bisogno è un nuovo divario di competitività. Obiettivi climatici ambiziosi non solo non costituiscono un problema, come la Germania e altre economie europee di successo hanno dimostrato, ma possono persino essere parte della soluzione.

Traduzione di Federica Frasca

Thomas Fricke è economista capo presso la European Climate Foundation e gestisce il sito web tedesco WirtschaftsWunder.

Copyright: Project Syndicate, 2014

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