Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2014 alle ore 11:59.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:18.

My24


PRINCETON – In questi giorni, ovunque mi trovi e con chiunque mi capiti di parlare, mi viene chiesta un’opinione su Thomas Piketty, e questo per sapere, in realtà, cosa pensi del suo libro e del fenomeno Piketty in generale.

Rispondere alla prima domanda è per me più facile. Per pura coincidenza, sono stato uno dei primi lettori della versione inglese del libro di Piketty, intitolata , il capitale nel ventunesimo secolo. Il suo editore, la Harvard University Press, mi aveva mandato le bozze con la speranza che firmassi la fascetta di copertina, cosa che ho fatto con piacere, avendo trovato il testo di una portata, una profondità e un'ambizione davvero impressionanti.


Naturalmente, conoscevo già lo studio empirico di Piketty sulla distribuzione del reddito, realizzato in collaborazione con Emmanuel Saez, Anthony Atkinson e altri economisti. Questo lavoro ha tratto conclusioni sorprendenti sull’aumento del reddito dei super ricchi, e ha dimostrato che in molte economie avanzate la disuguaglianza ha raggiunto livelli che non si vedevano dall’inizio del ventesimo secolo. Un grande risultato già di per sé.

Nel suo libro, però, Piketty va oltre questo lavoro empirico e narra un’intrigante storia che ha l'obiettivo di ammonire sulle dinamiche della ricchezza laddove vige il capitalismo. Egli c'invita a non farci trarre in inganno dall’apparente stabilità e prosperità che hanno caratterizzato l'esperienza delle economie avanzate nella seconda metà del ventesimo secolo. Secondo la sua visione, sono le forze destabilizzanti e che favoriscono la diseguaglianza a predominare nel capitalismo.


Forse, più che l'argomento in sé, ciò che rende Capital in the Twenty-First Century un testo chiave è la sensazione di assistere al confronto di una mente eccezionale con i grandi interrogativi del nostro tempo. L'enfasi di Piketty sulla natura politica della distribuzione del reddito, il sottile rimando ora alle leggi del capitalismo, ora al ruolo svolto dal caso, e la volontà di offrire soluzioni audaci (o impraticabili, a detta di molti) per salvare il capitalismo da se stesso rappresentano un punto di vista tanto innovativo quanto raro per un economista.


Pertanto, mi sarebbe piaciuto dire che avevo previsto con largo anticipo l'enorme successo accademico e di pubblico che il libro ha avuto non appena uscito. Invece, l’accoglienza che ha ricevuto è stata un’autentica sorpresa.


Per cominciare, il libro non è di facile lettura per via della sua lunghezza – quasi 700 pagine (comprese le note) – e, sebbene Piketty non si soffermi troppo sulla teoria formale, è disseminato di equazioni e lettere greche. I critici hanno enfatizzato i suoi riferimenti a Honoré de Balzac e Jane Austen, ma in realtà le allusioni letterarie sono scarse e sporadiche, e ciò che il lettore si trova davanti è perlopiù la tipica prosa asciutta degli economisti e una serie di statistiche.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi