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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 17:07.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:17.

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NEW HAVEN – Resistere alla tentazione di estrapolare, ovvero estendere un principio per analogia, è difficile. Un trend può esercitare una forte influenza tanto sui mercati quanto sui politici, sulle famiglie e sulle imprese. Gli osservatori più acuti, però, riescono a cogliere i limiti del pensiero lineare perché sanno che le linee si piegano e, talvolta, si spezzano addirittura. Questo accade oggi esaminando i due fattori chiave che influenzano l'economia globale, cioè il rischio associato alla strategia politica americana e lo stato dell'economia cinese.

Il Quantitative Easing, o QE (il programma della Federal Reserve che prevede acquisti mensili di asset a lungo termine), è apparso all’inizio come un nobile e disperato tentativo, piuttosto ben articolato, di trovare un antidoto contro una crisi dilaniante. Le ipotesi a posteriori sono sempre ingannevoli, ma non si può negare che le iniezioni di liquidità tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 abbiano giocato un ruolo cruciale nel risparmiare al mondo una situazione ben più grave della Grande Recessione.

La combinazione tra strumenti di finanziamento specifici e il primo ciclo di quantitative easing ha fatto schizzare il bilancio della Fed a 2.300 miliardi di dollari nel marzo 2009, dal livello registrato nell'estate del 2008, cioè prima della crisi, pari a 900 miliardi dollari. E il gelo che era calato sui mercati sconquassati dalla crisi si è sciolto.

L'errore della Fed è stato quello di estrapolare, cioè di credere che la terapia d'urto avrebbe potuto non solo salvare il paziente, ma anche favorire una ripresa sostenuta. Altri due cicli di QE hanno ulteriormente accresciuto il bilancio della Fed di altri 2.100 miliardi di dollari tra la fine del 2009 e oggi, ma hanno reso poco in termini di ripresa dell'economia reale.

Tale concetto diventa chiaro mettendo a confronto le iniezioni di liquidità della Fed con gli aumenti del Pil nominale. Tra la fine del 2008 e maggio 2014, il è aumentato di 3.400 miliardi di dollari in totale, cifra ben superiore all'aumento del nello stesso periodo pari a 2.600 miliardi di dollari. La missione non può certo dirsi compiuta, come i sostenitori del QE affermano. Ogni dollaro del QE ha generato solo 76 centesimi di Pil nominale.

A differenza degli Stati Uniti, che si sono perlopiù basati sull’intervento della loro banca centrale per alleviare la crisi e promuovere la ripresa, la Cina ha attuato uno (circa il 12% del suo Pil nel 2008) per rimettere in modo la propria economia investita dalla crisi. Mentre lo stimolo fiscale di 787 miliardi di dollari attuato dagli Stati Uniti (pari al 5,5% del Pil nel 2009) ha avuto un effetto sull'economia reale a dir tanto contenuto, l'intervento cinese ha determinato l’aumento brusco e immediato dei progetti infrastrutturali "pala in mano", che ha fatto schizzare la dal 44% nel 2008 al 47% nel 2009.

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