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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2014 alle ore 14:15.

Proprio come un secolo fa, leader ambiziosi ed ignoranti decidono di entrare in guerra senza uno scopo chiaro o prospettive realistiche per la risoluzione dei fattori impliciti di natura politica, economica, sociale o ecologica, che sono le principali cause delle tensioni. L’approccio di troppi governi è quello di sparare prima e ragionare dopo.

Prendiamo in considerazione, ad esempio, gli Stati Uniti. La sua strategia di base è quella di inviare truppe, droni o bombardieri in qualsiasi regione che possa rappresentare una minaccia per l’accesso al petrolio da parte degli Stati Uniti, che possa essere un nascondiglio di fondamentalisti islamici o che possa creare difficoltà agli interessi statunitensi (come la pirateria a largo della Somalia). Le truppe statunitensi, la CIA, i droni o gli eserciti sostenuti dagli USA sono quindi impegnati in combattimenti nelle regioni che vanno dal Sahel nell’Africa occidentale, alla Libia, alla Somalia, allo Yemen, alla Siria, all’Iraq, all’Afghanistan e oltre, principalmente per questi motivi.

Tutte queste attività militari stanno costando la vita a centinia di migliaia di persone e hanno un costo economico pari a trilioni di dollari. Ma invece di risolvere anche uno solo dei problemi impliciti, la realtà è che stanno aumentando il caos generale ed il rischio di una guerra più estesa.

La Russia non sta di certo gestendo le sue relazioni internazionali in modo migliore. Per un certo periodo ha sostenuto le leggi internazionali, lamentandosi giustamente della violazione di tali leggi da parte degli USA e della NATO in Kosovo, Iraq, Siria e Libia.

Ma poi, il Presidente Putin ha preso di mira l’Ucraina per paura che fosse troppo vicina a cedere all’Europa. Improvvisamente non ha più parlato del rispetto delle leggi internazionali ed il suo governo ha annesso illegalmente la Crimea e sta ora combattendo una guerriglia sempre più cruenta nella parte orientale dell’Ucraina tramite soldati mandatari e ora, apparentemente, anche con un coinvolgimento diretto da parte delle forze russe.

In questo contesto, il destino del volo MH17 della Malaysa Airlines è terribile non solo per la brutalità dell’incidente, ma anche per il segnale che dà di un mondo ormai impazzito. Mentre scrivo, non si conoscono ancora i responsabili del lancio del missile, anche se i colpevoli più probabili sembrano essere i ribelli filorussi dell’Ucraina orientale. Rimane certo, tuttavia, che la violenza scatenata dalla guerra di Putin contro l’Ucraina ha causato la morte di centinia di persone innocenti e ha portato il mondo ancor più vicino ad un disastro totale.

Non ci sono figure eroiche tra le grandi potenze di oggi, ed il cinismo dilaga un po’ da tutte le parti. Gli Stati Uniti violano la legge internazionale quando usano la forza senza ricorrere alle sanzioni ONU, inviano droni e i loro servizi segreti nei paesi sovrani senza la loro approvazione spiando sia i paesi amici che i paesi nemici.

La Russia fa lo stesso provocando centinaia di morti in Ucraina, Georgia e altri paesi vicini. L’unico elemento costante in questo scenario è la facilità con cui si ricorre alla violenza e le bugie che, inevitabilmente, la accompagnano.

Ci sono quattro aspetti importanti di diversità tra il contesto mondiale attuale e quello del 1914. Innanzitutto, dal 1914 ad oggi abbiamo vissuto due guerre catastrofiche, una grande depressione ed una guerra fredda. Abbiamo avuto la possibilità di imparare qualcosa sulla stupidità e l’inutilità di una violenza organizzata e collettiva. In secondo luogo, una prossima eventuale guerra globale, in quest’era nucleare, porterebbe quasi senza dubbio alla fine del mondo.

La terza grande differenza è che oggi, grazie alla nostra meravigliosa tecnologia, abbiamo l’opportunità di risolvere tutte le problematiche implicite legate alla povertà, alla fame, al dislocamento ed al degrado ambientale che creano così tante polveriere.

Infine, abbiamo la legge internazionale, se scegliamo di utilizzarla. Cent’anni fa le forze belligeranti dell’Europa e dell’Asia non potevano fare riferimento al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, luoghi in cui è la diplomazia e non la guerra a portare avanti la politica. Abbiamo la fortuna di avere la possibilità di costruire la pace attraverso un’istituzione globale istituita per garantire che non si verificasse mai più un conflitto su scala globale.

Come cittadini del mondo, il nostro dovere ora è chiedere la pace attarverso la diplomazia e attraverso inziative globali, regionali e nazionali mirate a contrastare flagelli come la povertà, le malattie ed il degrado ambientale. Nel centesimo anniversario di una delle più grandi tragedie della storia umana, facciamo in modo che alla tragedia non segua una farsa o un’altra tragedia, ma il trionfo della cooperazione e della dignità.

Traduzione di Marzia Pecorari

Jeffrey D. Sachs è professore di sviluppo sostenibile, di politica e gestione della sanità e direttore dell’Earth Institute presso la Columbia University. E’ anche consigliere speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sugli obiettivi del millennio.

Copyright: Project Syndicate, 2014.

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