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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2014 alle ore 13:48.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:02.

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Hausmann aveva tutti i diritti di porre quella domanda. Gli studi dimostrano infatti che uno sviluppo economico di successo richiede un diritto di proprietà inclusivo, l’implementazione degli accordi ed un’attuazione imparziale dello stato di diritto. Il Venezuela non ha, attualmente, nessuno di questi elementi.

Non è quindi sorprendente che l’enorme deficit pubblico finanziato da una crescita monetaria esplosiva abbia provocato il crollo della valuta e spinto le multinazionali a ridurre il valore delle filiali venezuelane ad ogni abbassamento del tasso di cambio. Come non è sorprendente che con un tasso di cambio inadeguato il paese stia avendo difficoltà a pagare i suoi conti, o che il controllo sui prezzi ed il regolamento di uno stato di polizia abbiano intensificato significativamente la carenza dei prodotti alimentari. Infine, tra le speculazioni diffuse che danno il Venezuela prossimo al default con 80 miliardi di dollari di debito estero, non sorprende che i rendimenti sul debito sovrano abbiano toccato il 15%.

Visti i prezzi elevati del petrolio, il Venezuela, che possiede una delle riserve più vaste di idrocarburi a livello mondiale, dovrebbe godere di un periodo di prosperità. Purtroppo però la corruzione, il controllo della politica sulle aziende petrolifere statali e la nazionalizzazione degli asset legati al petrolio di proprietà straniera hanno provocato un contesto completamente opposto. (Notifica: faccio parte del consiglio di amministrazione di una di queste aziende, la ExxonMobil, che è in attesa del giudizio arbitrale della corte internazionale).

La combinazione di un governo autoritario, di un populismo estremo, di un’ideologia socialista e dell’incompetenza del governo dell’ex Presidente Hugo Chávez e di Maduro hanno provocato il caos in Venezuela. Ma quando Hausmann, un cittadino venezuelano ed ex ministro, vuole discutere di un quesito sollevato dagli investitori di tutto il mondo, non viene solo condannato, ma minacciato. L’implicazione è chiara: chi parla apertamente potrebbe essere messo in prigione.

Non è il primo caso in cui un un economista autorevole viene trattato in questo modo in America latina. Dieci anni fa, è successo a Domingo Cavallo che, in qualità di Ministro delle Finanze dell’Argentina, aveva ancorato il peso al dollaro per ridurre l’inflazione pari al 1.000% che stava distruggendo l’economia ed il tessuto connettivo della società. Dopo aver messo termine all’improvviso alla politica di ancoraggio nel 2001 con la conseguente comparsa di un periodo di recessione, Cavallo è stato arrestato e messo in prigione. Fortunatamente, lo sdegno esploso a livello internazionale ed una campagna organizzata dagli economisti del Nord America hanno portato alla sua liberazione.

Non sono d’accordo con tutte le politiche sostenute da Cavallo o Hausmann o, del resto, da qualsiasi altro policymaker. Ma è davvero giusto criminalizzare, non la corruzione o l’autoregolamentazione, ma il disaccordo politico? Vogliamo davvero che ciascun governo metta in prigione i suoi oppositori politici, come ha fatto il deposto Presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovych all’ex Primo Ministro , perchè contrario alle politiche messe in atto o ai risultati raggiunti?

Finora non siamo scesi a questo livello negli Stati Uniti. Ma anche lì è diventato fin troppo comune mettere in dubbio i motivi e i valori, non solo le idee, di coloro con i quali non siamo d’accordo. Giornalisti, politici e intellettuali, che dovrebbero essere i più giudiziosi, discutono regolarmente non solo del fatto che le politiche e le proposte siano o meno sbagliate, ma anche della malignità degli stessi promotori di tali proposte per averle attuate o semplicemente suggerite.

Non si dovrebbe permettere alle critiche e al disaccordo di raggelarsi in parole al vetriolo che sviliscono così tanto oggi il dibattito pubblico. Le parole hanno delle conseguenze e possono incoraggiare atti di delinquenza o azioni peggiori. Anche il tentativo di sopprimere il dibattito pubblico e aperto, oppure la delegittimazione ufficiale di chi fa proposte politiche alternative è pericoloso. Bisogna resistere a questi oltraggi prima che altre persone vengano minacciate come Cavallo e Hausmann e prima che questa malattia si diffonda in Nord America ed in Europa.

Traduzione di Marzia Pecorari

Michael J. Boskin, professore di economia presso la Stanford University e ricercatore senior presso l’Hoover Institution, è stato a capo del Consiglio di consulenti economici di George H. W. Bush dal 1989 al 1993.

Copyright: Project Syndicate, 2014.

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