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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 08:01.
ROMA
Tre economiste di estrazione (e specializzazione tematica) diversa offrono un punto di vista quasi unitario alla richiesta di un parere a caldo sull'emendamento appena approvato dal governo: a questo punto si deve intervenire anche sull'età di pensionamento delle donne che lavorano nel privato. L'esatto opposto di quel che si propone il governo.
Per Elsa Fornero, docente a Torino e grande esperta di previdenza, l'emendamento non risponde a una logica pensionistica, ma alla richiesta europea di superare una disparità di trattamento di tipo contrattualistico: «In questo senso sono favorevole alla soluzione che è stata adottata – spiega – ma ora si crea una situazione paradossale tra settore pubblico e settore privato. E va risolta». La strada proposta dalla Fornero è quella del recupero della flessibilità in uscita, prevista dalla legge "Dini" (335/1995): «Si tratta di scegliere un'età minima valida per tutti tra i 62 e i 63 anni per poi lasciare alla scelta volontaria il momento effettivo del pensionamento entro un range che può arrivare anche fino a 68 anni. Con in più una correzione della quota residua retributiva, che farebbe perdere il 3-4% l'anno a chi sceglie di anticipare la pensione rispetto all'età di 65 anni. In questo modo si ottiene una parità uomo-donna e, allo stesso tempo, tra pubblico e privato».
Con un ragionamento diverso giunge alla medesima proposta Fiorella Kostoris, docente alla Sapienza di Roma, ex presidente dell'Isae e membro della commissione tecnica istituita dal ministro Renato Brunetta che un anno fa elaborò le prime soluzioni per adempiere alla sentenza Ue. «Segnalo che se non si aumenta l'età di vecchiaia delle donne anche nel privato tra tre anni ci troveremo nella paradossale situazione per cui il requisito d'età minimo per la pensione di anzianità sarà a 62 anni, e cioè superiore a quello di vecchiaia, che nelle donne è a 60 anni. Un vero assurdo previdenziale». Se si ricorda che i difensori dell'età di pensionamento più bassa per le donne spesso la giustificano come un risarcimento dovuto dopo una vita lavorativa fatta di discriminazioni, la Kostoris replica seccata: «Too little, too late. Troppo poco e troppo tardi. Bisogna superare tutte le forme di segregazione che caratterizzano il nostro mercato del lavoro e bisogna farlo il più velocemente possibile perché ne va dell'efficienza complessiva della nostra economia». In questo senso l'aumento dell'età pensionabile delle donne nel privato «libera risorse vere – aggiunge la professoressa Kostoris – che potrebbero essere utilizzate in politiche a sostegno della domanda di lavoro femminile».