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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 08:05.
Giornalisti ed editori sul piede di guerra contro il ddl intercettazioni che ieri ha incassato il via libera del Senato tra le proteste dell'opposizione. La Fnsi (il sindacato della stampa) ha fissato per il 9 luglio «il giorno del silenzio» contro la legge. Niente quotidiani in edicola, dunque, per l'astensione dal lavoro il giorno prima di agenzie di stampa e giornali, né servizi giornalistici su radio e televisioni.
Il black out informativo è stato deciso considerando il giorno della presumibile approvazione del ddl in commissione giustizia alla Camera e del passaggio alla discussione in aula. «Il rumoroso silenzio – ha spiegato ieri il segretario della Fnsi, Franco Siddi – dovrà coincidere con la giornata finale di discussione del ddl Alfano, quindi se sarà altrimenti cambieremo la data». Nel frattempo, però, ha aggiunto Siddi, «è necessario che tutta la categoria, in particolare nelle redazioni, si mobiliti per significare la gravità del momento e la pericolosità insita in una normativa restrittiva che limiterebbe gravemente, se approvata, il diritto dei cittadini a essere informati».
La Fnsi ha quindi invitato i comitati di redazione (le rappresentanze sindacali interne ai giornali) a intervenire «perché sulle loro testate sia dato ampio spazio all'informazione su questa vicenda e per concordare con i direttori forme di evidenziazione del pericolo che si corre, mediante occhielli, segni grafici o qualsiasi iniziativa si dovesse ritenere efficace». Si sta valutando, ad esempio, l'uso di pagine bianche «per sottolineare – chiarisce ancora la Fnsi – la drammaticità della situazione».
Anche la Fieg (gli editori) è scesa in campo contro il ddl intercettazioni. Ieri la federazione ha diffuso un comunicato, chiedendo di pubblicarlo oggi sui giornali, in cui gli editori esprimono «la ferma protesta» per l'approvazione del provvedimento. «Il testo licenziato dal Senato - evidenzia la Fieg – non realizza l'obiettivo dichiarato di tutelare la privacy, ma ha semplicemente un effetto intimidatorio nei confronti della stampa. Ne sono dimostrazione le pesantissime sanzioni agli editori».