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Londra scende in campo per Bp

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 08:04.


LONDRA. Dal nostro corrispondente
«Visto da qui lo stivale del presidente Obama più che al collo di Bp, è sulla giugulare dei pensionati inglesi». L'immagine che ribalta la metafora del portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs nella sua vigorosa difesa dell'offensiva presidenziale americana, l'ha usato Mark Dampier di Hargreaves Lansdown, società di servizi finanziari di Bristol. Opinione largamente condivisa nella City, dove l'inquietudine che si leva dai fondi d'investimento è direttamente proporzionale all'andamento del titolo Bp che ha dimezzato la capitalizzazione, mentre il rendimento sui bond è arrivato, in alcuni casi, alla soglia dei titoli spazzatura (junk).
La polemica politica che accompagna la tragedia del Golfo del Messico fa precipitare l'azione (meno 11% in apertura a Londra, poi però il titolo ha chiuso a +12,3% a Wall Street su voci di un interesse di PetroChina) e scatena la rabbia di chi legge nelle parole del presidente Obama «un'inaccettabile retorica politica», per usare l'espressione di Miles Templemann del londinese Institute of Directors. Più soft il direttore generale di Cbi (la Confindustria britannica) Richard Lambert, secondo il quale l'attacco presidenziale «è motivo di ovvia preoccupazione».
Cresce la tensione lungo l'asse transatlantico della very special relationship anglo americana e ieri il primo tappo della politica lo ha fatto saltare il sindaco di Londra, Boris Johnson, conservatore, amico personale del premier David Cameron e pezzo di pregio, eccentricità a parte, della nomenclatura Tory. «C'è troppa enfasi anti-britannica, Bp - ha dichiarato - sta pagando un prezzo alto. Vorrei vedere un po' di sangue freddo. Se si considera l'enorme esposizione dei fondi pensioni inglesi la questione assume i contorni di preoccupazione nazionale». Più cauto ma fermo nel difendere il gruppo il cancelliere dello Scacchiere George Osborne: «È importante ricordare il valore economico che Bp porta ad americani e britannici». Le conseguenze paventate a Londra sono due: un ripensamento di Bp sulla cedola promessa agli azionisti e la fuga degli investitori dal titolo. Sul no al dividendo gli ambienti politici americani insistono: ieri lo ha chiesto il presidente della Camera Nancy Pelosi. Il timore che siano avviate misure legali per evitare lo stacco della cedola è stato rinforzato dalla posizione del ministero della Giustizia Usa, che ha confermato «di avere allo studio passi» in questo senso. L'abbandono del titolo è, invece, scritto nei corsi azionari per la convinzione che la linea dura del governo Usa sia destinata ad avere ripercussioni sulle attività di Bp. Non solo per l'aumentare dei costi - dagli Usa fanno sapere che Bp dovrà indennizzare anche le società concorrenti colpite dalla moratoria sulle operazioni offshore in acque profonde provocata dall'incidente - ma per il clima generale "anti-inglese" che s'è creato. E la Casa Bianca ha convocato per il 16 giugno l'amministratore delegato di Bp, Tony Hayward.

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Atmosfera che stende una debole ombra su relazioni da sempre solidissime. Nei giorni scorsi si erano sentite anche le parole del ministro dell'Industria, il liberaldemocratico Vince Cable. «Quelle americane sono parole estreme - ha detto - e assolutamente inutili». Irrita, a Donwing street e dintorni, sentire chiamare Bp, British petroleum come fa Obama mettendo l'accento su quel British che nel nome della società è sparito da più di un decennio, da quando, cioè, è Bp e basta. I pontieri chiamati a riportare il sorriso sui due lati dell'Atlantico si dice siano già al lavoro. Si parla di un'azione diplomatica a tutela di Bp avviata da un comitato internazionale di ex Goldman sachs (di cui secondo il Times oltre a Peter Sutherland farebbe parte anche Romano Prodi, che però ha smentito) dall'esito per ora indefinito. Il premier David Cameron s'è limitato a dire che il «governo aiuta Bp» sotto l'aspetto tecnico, non politico ma che comprende la «frustrazione americana». Ufficialmente il ceo Peter Hayward non ha nemmeno coinvolto l'ambasciata inglese a Washington. Impossibile, più che improbabile. Ma è il segno che Londra per ora vuole controllare la polemica e affida al colloquio atteso per questo weekend fra Obama e Cameron il chiarimento.
Per il premier inglese sarà il primo test di aspirante statista. Senza togliere nulla alle evidenti responsabilità di Bp, il pressing americano è troppo deciso per non immaginare una reazione politica di Downing street. Se lo augura, crediamo, Nick Clegg, il vice premier LibDem che alla relazione speciale con il partner d'Oltreatlantico non crede più. Fu lui, in campagna elettorale, a denunciare che in Usa nessuno parla da un pezzo di rapporti politici esclusivi con Londra. «Solo in Gran Bretagna continuiamo con tanta retorica», disse incocciando nei fischi indiretti di David Cameron. Obama rischia di dargli ragione.
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