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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 08:02.

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La soap opera tutta italiana sull'eliminazione delle province si arricchisce di una nuova puntata. Quella andata in onda ieri nella commissione Affari costituzionali della Camera dove la maggioranza, in un colpo solo, ha cancellato la soppressione di quattro enti introdotta appena 48 ore prima e ristretto i margini del governo nella futura riorganizzazione.

I primi a gioire del sesto dietrofront dall'inizio della legislatura saranno i presidenti di Vercelli, Fermo, Isernia e Vibo Valentia. La cui sorte era stata messa a repentaglio martedì scorso da un emendamento al Codice delle autonomie del relatore Donato Bruno e da un subemendamento della sua collega di partito Beatrice Lorenzin che introducevano la cancellazione – non subito ma tra due anni con un futuro decreto legislativo, ndr – delle amministrazioni con meno di 200mila abitanti (150mila in caso di un territorio per più del 50% «montano»).
È stato lo stesso Donato Bruno a tornare ieri sui propri passi. Proponendo, sempre in commissione, una riscrittura dell'articolo 14. Dal quale scompare la soppressione degli enti intermedi. Il perché l'ha spiegato il sottosegretario alla Semplificazione Aldo Brancher: la misura avrebbe riguardato un «numero ristretto di province». Fatto sta che dalla disposizione è uscita anche la possibilità per l'esecutivo di cancellarne altre con la futura risistemazione. In quella sede, infatti, potranno essere solo riorganizzate funzioni e competenze. Con l'intenzione implicita di rimandare l'eventuale potatura alla riforma che dovrebbe interessare il titolo V della Costituzione.

La retromarcia è passata con l'astensione dell'Api e il sì di Pdl, Lega e Pd. Democratici che, con il capogruppo nella Affari costituzionali Gianclaudio Bressa, hanno parlato di «vicenda ridicola». Reazioni analoghe sono giunte dall'Udc (un «bluff» l'ha definito Amedeo Ciccanti) e dall'Idv («l'ennesima buffonata» ha commentato Massimo Donadi). Mentre è parso chiaramente soddisfatto il presidente dell'Upi Giuseppe Castiglione che ha ritenuto la scelta «molto saggia» perché «ci sono regioni che hanno avviato una riflessione interna che potrebbe dare risposte più soddisfacenti».
Considerando che lo stesso plot era già stato seguito almeno altre cinque volte dall'inizio della legislatura, l'aspetto più innovativo non è tanto lo stop in sé quanto le sue ragioni. A imporlo stavolta non sarebbe stata la Lega, nonostante il suo leader Umberto Bossi mercoledì aveva detto che il taglio di quattro province non sarebbe «servito a niente». Bensì il Pdl, come testimonia la soddisfazione a caldo della regione Calabria che ha attribuito il merito al «forte pressing» del governatore Giuseppe Scopelliti.

In realtà un ruolo decisivo lo avrebbe giocato lo stesso Castiglione, presidente della provincia di Catania molto vicino al premier Silvio Berlusconi, durante una telefonata di qualche sera fa con il presidente del Consiglio. Al punto che, nonostante l'abolizione delle province sia stata una delle parole d'ordine del Pdl durante la campagna elettorale per le politiche, il Cavaliere si sarebbe convinto ad accantonarla. Complice il fatto che, nel frattempo, il centro-destra è arrivato ad amministrare il 60% degli enti di area vasta.
Se così fosse andrebbe però fronteggiata l'opposizione interna dei finiani che con Italo Bocchino hanno nuovamente chiesto di inserire in manovra la cancellazione di tutte le province con meno di 400mila abitanti. Inserendola non nella Carta delle autonomie che da lunedì 14 sarà in aula a Montecitorio ma nella manovra.

Quella manovra che sembra intanto diventata l'ostacolo principale alla marcia del federalismo fiscale. Al di là delle rimostranze dei governatori (su cui si veda l'articolo a pagina 5) vanno segnalate le lamentele dei sindaci. Audito dalla commissione bicamerale per il federalismo sul secondo decreto attuativo, che riguarderà l'autonomia impositiva degli enti locali e sarà reso noto la prossima settimana, il presidente dell'Anci Sergio Chiamparino ha evidenziato come le risorse a disposizione dei comuni dopo il taglio non siano sufficienti né all'erogazione dei servizi, né alla perequazione e al finanziamento fiscale. Di diverso avviso il titolare della Semplificazione, Roberto Calderoli, che ha confermato l'arrivo, entro giugno della relazione con i numeri e di altri due dlgs. Riguardanti, rispettivamente, costi standard e Roma capitale.

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