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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2010 alle ore 08:11.
È morto nella sua città – Roma, di cui negli anni Ottanta fu assessore agli Interventi sul Centro Storico – l'architetto Carlo Aymonino: l'ultimo (o quasi) di quei Mohicani che resero indimenticabile la cultura italiana , diffondendone il prestigio teorico su scala internazionale.
Figura arguta ed elegante in un parterre che vantava protagonisti come Aldo Rossi, Gregotti, Canella, Gabetti & Isola, Portoghesi, eccetera. Aymonino era doppio figlio d'arte: discendente da una famiglia di architetti che annoverava da un lato la dinastia dei Busiri-Vici, dall'altra Marcello Piacentini, esordì in una Roma ancora internazionale anche sotto il profilo della ricerca artistica, partecipando al cantiere del quartiere Tiburtino, icona del cosiddetto "neorealismo" e palestra di tanti giovani destinati a occupare posizioni di prestigio nella rinascita italiana degli anni Sessanta. Collaboratore della milanese «Casabella», insegnò a Palermo, a Venezia (di cui fu anche Rettore) e a Roma, perseguendo un disegno di formazione che poneva l'università al centro dei complessi incroci tra teoria e progetto. Gli anni Sessanta infatti vedono Aymonino impegnato nella teorizzazione di una "nuova scienza urbana" affianco ad Aldo Rossi che non a caso chiamerà a collaborare a una delle sue opere più famose, il quartiere Gallaratese a Milano e con cui firmerà uno dei suoi primi libri, dedicati all'analisi della città di Padova. Nel 1975 , Il significato della città pone in primo piano il tema dell'urbano come materiale della progettazione, cui è demandato il compito di risolvere le frammentarietà e contraddizioni della crescita e dello sviluppo, attraverso un serrato e franco dialogo tra nuovo ed antico. Nel palazzo di Giustizia di Ferrara(1977-84), nel complesso scolastico e civico di Pesaro (dal 1970 in avanti) oltre che nei progetti per l'università di Firenze (1971) e delle Calabrie (1973), eccetera, Aymonino propone autentici "pezzi di città" al posto di singoli edifici, sottolineando il valore dell'urbano come permanente matrice di sviluppo della città europea. Tra i suoi ultimi progetti (oltre alla sala del Marco Aurelio in Campidoglio), significativa al limite della provocazione, la proposta del Colosso di 36 metri da erigere sull'area recuperata della mitica statua di Nerone che «girava continuamente e con moto uguale al Sole e tenendo gli occhi sempre rivolti verso l'astro».