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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2010 alle ore 09:07.
L'ultima modifica è del 06 luglio 2010 alle ore 09:13.
Qual è il primo obiettivo di Silvio Berlusconi? Salvare il governo e la coalizione oppure regolare i conti con Fini? Ottenere entrambe le cose nello stesso momento è difficile, forse impossibile. E si può immaginare che la priorità del presidente del Consiglio, quella a cui sta dedicando le sue energie in nome del «ci penso io», sia la prima: salvaguardare e stabilizzare il governo. Quindi si tratta di scegliere secondo logica e buonsenso. Non a caso la prima mossa di Berlusconi, giusto in apertura di una settimana cruciale, ha riguardato le dimissioni di Brancher, il ministro più anomalo degli ultimi decenni. Segno che ha prevalso la prudenza.
Benché le dimissioni in tribunale davanti ai magistrati, anziché nelle sedi proprie, costituiscano l'ennesima bizzarria della vicenda.
È una questione, si potrebbe dire, di vasi comunicanti. Per salvare il governo occorre ridurre la tensione. E la prima fonte di tensione, insostenibile per un esecutivo indebolito e malcerto, nasce dal rapporto con il Quirinale. Nelle ultime settimane il caso Brancher e la malaccorta legge sulle intercettazioni avevano incrinato e deteriorato la relazione tra Palazzo Chigi e la presidenza della Repubblica. Ora l'abbandono di Brancher è il segnale che Berlusconi cerca la riconciliazione. E ha ragione. Ma non avrebbe senso abbandonare al suo destino l'ex ministro e poi insistere sul testo delle intercettazioni, criticato proprio dal Quirinale in termini perentori.
Quindi, se c'è una logica, le dimissioni di Brancher sono solo il primo passo di una sequenza che non può non prevedere il rinvio della legge. Nessuno smacco per il governo, bensì l'esigenza di correggere in modo radicale un provvedimento incongruo che ha prodotto solo lacerazioni e inquietudini. Le due opzioni (dimissioni del ministro e rinvio per le intercettazioni) sono probabilmente in grado di ricostruire un rapporto sereno tra Berlusconi e Napolitano. E questo è senza dubbio nell'interesse del premier, nel delicato frangente che la maggioranza sta vivendo.
Allo stesso modo, il presidente del Consiglio è intervenuto ieri sera sulla manovra economica esprimendo sostegno all'azione di Tremonti. Il voto di fiducia che sarà chiesto al Parlamento non esclude trattative e compromessi su questo o quel punto dei provvedimenti, ma nessuno, nemmeno le regioni, può pensare di smontare il lavoro del ministro dell'Economia come accadeva con le vecchie leggi finanziarie. Ciò significa che ora, fissata la cornice, sarà possibile negoziare con i contestatori da posizioni di relativa forza.