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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2010 alle ore 08:18.
MILANO - Angelo Benessia resta alla presidenza della Compagnia San Paolo, evita la conta sulla «fiducia», e ottiene una tregua di sei-sette mesi in attesa di una nuova verifica. Ma, di fatto, è stato costretto ad accettare tutte le richieste avanzate dagli 11 consiglieri che avevano presentato un documento critico verso la sua presidenza. A partire dalla concessione ai suoi oppositori della nomina di un «loro» rappresentante alla vicepresidenza del consiglio di gestione della Compagnia, in sostituzione di Elsa Fornero (diventata vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo).
Al termine di un Consiglio Generale durato oltre sei ore, la Compagnia ha approvato all'unanimità una delibera che segna una gestione più «collegiale» della Fondazione, con la prevista partecipazione alle riunioni del comitato di gestione (che, tra l'altro, si occupa del patrimonio e quindi delle scelte sulla banca) dei coordinatori delle commissioni del Consiglio Generale. Se pare eccessivo parlare di «commissariamento di Benessia», come sosteneva ieri sera qualche suo oppositore, è evidente che la discontinuità rispetto al passato c'è. E sarà più evidente ai primi di giugno, quando sarà nominato il vicepresidente del comitato di gestione.
Le lacerazioni prodotte negli ultimi mesi dalla gestione delle nomine in Intesa Sanpaolo, comunque, hanno deteriorato alcuni rapporti in seno alla Compagnia. Il consigliere Bruno Manghi ha confermato ieri le due dimissioni dall'incarico. E dure critiche a Benessia sono venute dai due componenti del comitato di gestione, Giuseppina De Santis e Luca Remmert, «auditi» dal Consiglio Generale per fare chiarezza sulla gestione del comitato.
In sequenza, tutti i firmatari del documento critico nei confronti del presidente hanno preso la parola. A favore di Benessia, o almeno a sostegno istituzionale del presidente, si è schierato il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Conso, ieri al debutto in Compagnia, che avrebbe anche fatto presenti i rischi dell'estendibilità all'intero consiglio di una revoca del solo presidente. Ipotesi su cui, statuto alla mano, altri consiglieri non erano d'accordo. Ma dopo una breve pausa pranzo, e una serie di contatti informali e non verbalizzati, l'«opposizione» ha deciso di non procedere al voto di sfiducia in cambio di una gestione più collegiale. Aprendo le condizioni per una delibera di «tregua», poi votata all'unanimità. «La ritrovata unità d'intenti è un risultato importante nell'interesse della Compagnia San Paolo – ha commentato Paolo Ambrosini, uno degli 11 firmatari del documento – per senso di responsabilità abbiamo deciso di evitare una conta lacerante. A ciò ha contribuito non poco l'atteggiamento del presidente e la sua disponibilità ad accettare tutte le nostre richieste di cambiamento».