Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2010 alle ore 08:19.
La corsa all'oro non si ferma. Le quotazioni hanno corretto ieri i record storici in dollari, euro, sterline e franchi svizzeri, in risposta all'incertezza che persiste, soprattutto in Europa.
«L'oro costa sempre di più – ammette Adam Klopfenstein, strategist di Lind-Waldock – ma è la meta più ovvia di chi fugge dall'euro». Il timore riguarda i problemi, non del tutto identificabili, che nasceranno dal salvataggio dei debiti sovrani.
Lo sostiene anche un guru rispettato come Jim Rogers: «Quel che si può fare adesso è investire in assets reali, fuggendo da quelli di carta». Gli schermi delle borse merci sono d'accordo con lui: il metallo al primo fixing londinese ha toccato il primato di 1.241,25 $/oz per poi salire nel tardo pomeriggio fino a 1.248,15 dollari, un record avvicinato anche al Comex di New York, dove il picco durante la sessione è stato di 1.246,50 $. Nella moneta unica la punta più alta di sempre è quella di 988,471 segnalata nella City, un livello vicino a 32 euro per grammo.
A questi prezzi, anche vendere può essere vantaggioso, ma non sembra sia giunto il momento di liberarsi della «moneta anti-default», come viene considerata da molti investitori. «L'oro è lo specchio dell'incertezza – nota Gavin Wendt, della Mine Life di Sydney – e ci sono buone ragioni per tenerselo stretto, più di quelle che si potevano identificare l'anno scorso».
Nello stesso senso si dirigono sia le charts, dalle quali l'analisi tecnica fa emergere soltanto indicazioni rialziste, sia le considerazioni di Macquarie Bank, secondo cui la quotazione arriverà entro l'anno a 1.500 dollari.
In Europa si assiste a vivaci acquisti di monete auree: la zecca austriaca nelle ultime due settimane ha visto volare via 243.500 once della sua Philharmonic Gold, più di quanto avesse venduto in tutto il primo trimestre. Il suo direttore marketing, Kerry Tattersall, nota che «gli acquisti vengono tutti dall'Europa, segno che sono dettati dal panico». I raffinatori svizzeri della Argor-Heraeus rilevano che la preferenza va verso monete e lingotti di piccolo taglio.
Una situazione che ha aspetti tutt'altro che tranquillizzanti. «Il momento per il settore della gioielleria non era dei più brillanti già prima della crisi greca – commenta Stefano De Pascale, direttore di Federorafi – e adesso per le imprese si è ulteriormente complicato». L'impegno economico in effetti è consistente, mentre i prezzi elevati frenano gli affari. Lo si avverte anche in India, dove il 16 maggio, alla festa di Akshaya Tritiya, ci si aspettano vendite deludenti.