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Finanza e Mercati In primo piano

Prodi: grande passo verso il federalismo fiscale europeo

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2010 alle ore 19:37.
L'ultima modifica è del 22 maggio 2010 alle ore 13:18.

L'accordo di Bruxelles per salvare l'eurozona è per Romano Prodi un passo "molto importante verso la graduale creazione di un federalismo fiscale europeo" e mostra che "non c'è un'alternativa praticabile all'euro". Per Samuel Brittan l'accordo è la risposta alla paura di una seconda fase della crisi bancaria internazionale, che scoppierebbe "se gli investimenti fossero svalutati dall'uscita di paesi periferici dall'eurozona".

I due commenti sulla crisi, uno dell'ex premier italiano e l'altro dell'economista britannico, pubblicati in contemporanea sul Financial Times, indicano prospettive diverse dentro e fuori dall'eurozona. Prodi vede la crisi come una spinta ad andare avanti nella costruzione europea. Brittan sottolinea che c'è una crisi internazionale nell'aria ma non una crisi di bilancio specifica del Regno Unito e mette in guardia contro un'ulteriore svalutazione della sterlina.

"A causa delle difficoltà politiche non è stato possibile proteggere l'euro", scrive Prodi. "Anni fa avevo avvertito – continua – che eventi straordinari avrebbero potuto costringere a coordinare le politiche fiscali". Poi è arrivata la crisi greca, grave ma facilmente risolvibile per via delle modeste dimensioni dell'economia del paese. "Eppure è mancata un'azione tempestiva": le elezioni tedesche nel Nord Reno-Westfalia hanno ritardato il realizzare che "la crisi greca presentava un'opportunità per fare gli inevitabili passi verso una governance europea che non erano possibili quando l'euro fu creato".

Prodi, che è anche stato presidente della Commissione europea, caldeggia "nuove istituzioni od organismi per monitorare i bilanci degli stati membri, far rispettare la disciplina fiscale e imporre punizioni a chi infrange ripetutamente le regole di disciplina di bilancio".
"Molti paesi, tuttavia, ancora non vogliono attuare tali cambiamenti radicali alla sovranità economica", anche se si continua a discutere di una possibile crisi, non necessariamente quella greca.

"Siamo quindi a un bivio", afferma Prodi. "La sola alternativa a un maggior coordinamento delle politiche economiche è la dissoluzione dell'euro". Ciò sarebbe un "colpo catastrofico per il progetto europeo", particolarmente "devastante" per la Gemania.

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Tags Correlati: Banca d'Inghilterra | Barack Obama | Bce | Bill Martin | Bruxelles | Fisco | Fmi | Romano Prodi | Samuel Brittan | Stati Membri

 

Prodi spiega di avere spinto per fare entrare l'Italia nell'eurozona per dare al paese la disciplina fiscale di cui aveva bisogno. E quindi considera le recenti decisioni prese a Bruxelles come un grande passo verso il federalismo fiscale europeo. "Combinare le risorse dei paesi dell'eurozona e della Commissione con quelle della Banca centrale europea è un passo più in là rispetto al patto di stabilità e crescita". Il patto "è stato rimpiazzato da un coordinamento più muscoloso". La decisione di sostenere l'euro con una mutua cooperazione finanziaria è "un grande passo avanti".

Anche se le incertezze rimangono, Prodi è convinto che i mercati terranno conto del fatto che la Bce, la Commissione e la maggior parte dei paesi dell'eurozona hanno ora più poteri e più responsabilità che in passato. E nonostante gli interrogativi su come questo poteri saranno attuati e nonostante le turbolenze politiche provocate dalle misure d'austerità, secondo Prodi, "la nave dell'Unione sta navigando nella direzione giusta".

Il commento di Brittan, intitolato "Ora è il momento di chiedersi: quale crisi?", chiarisce che "c'è ancora una crisi nell'aria" e che si tratta di una crisi internazionale: si teme una seconda stoccata della crisi bancaria. "Perché altrimenti è stato negoziato così in fretta un gigantesco accordo di prestito e garanzia e perché il Fondo monetario internazionale ha voluto essere coinvolto? E perché Barack Obama era così preoccupato?".

Ma, citando dati Fmi, Brittan contesta l'idea che ci sia una crisi di bilancio specificatamente britannica. Il fabbisogno lordo Uk per il 2010 equivale circa al 20% del Pil, meno della Francia (25,1%), degli Usa (32,2%) e del Giappone (64%). Il rapporto debito-Pil è del 68,2%, al di sotto non solo degli Usa ma anche di molti altri paesi tra cui Germania e Canada. La scadenza media del debito è di 12,8 anni, mentre gli altri paesi sono al di sotto, gli Usa a 4,4 anni.

Gli analisti Fmi - continua Brittan - ritengono che nella maggior parte dei paesi avanzati il grosso del deterioramento fiscale venga non da spese irresponsabili o da stimoli fiscali ma dagli effetti automatici della recessione. Per quanto riguarda la crescita dell'economia britannica, l'economista Bill Martin "gioca con l'idea di una svalutazione del 25% della sterlina, in aggiunta alla svalutazione già avvenuta sul mercato". Brittan non è d'accordo: una seconda svalutazione avrebbe effetti molto peggiori sull'inflazione. E la Banca d'Inghilterra dovrebbe di conseguenza fare una stretta in chiave anti-inflazionistica "che farebbe più danni di una qualsiasi stretta fiscale programmata dal nuovo cancelliere".

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