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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2010 alle ore 08:09.
Attilio Geroni
PARIGI. Dal nostro corrispondente
Sarà dura per Jérôme Kerviel mantenere quella vaga aria da star mediatica che l'opinione pubblica gli aveva cucito addosso in questi due anni e mezzo. Nell'aula del tribunale dove ieri è cominciato il "suo" processo e davanti al giudice Dominique Pauthe che lo rimprovera perché beve dalla bottiglietta mentre gli rivolge la parola, comincia tutt'altro show: vita vera, tempo reale, domande e risposte, in un'aula stracolma, angusta e afosa.
In piedi, braccia incrociate sul davanti, vestito grigio scuro e cravatta rosa su camicia bianca, l'ex trader di Société Générale ha risposto all'inizio con voce debole a chi gli chiedeva di presentarsi, di raccontare qualcosa di sé, dei suoi studi, della sua carriera universitaria: «Chi è lei, monsieur Kerviel? Perché è di lei che qui si parla, è di un uomo che si celebra il processo. Abbiamo letto e sentito parecchie cose sul suo conto, ma adesso che è qui davanti, le chiedo: chi è lei?».
Il giudice Pauthe è lo stesso del processo Clearstream, quello in cui l'ex premier Dominique de Villepin è stato prosciolto alcuni mesi fa. Dovrà decidere della sorte di Jérôme Kerviel, che fece perdere a SocGen quasi 5 miliardi di euro nel gennaio 2008 in seguito alla liquidazione di posizioni da lui prese senza l'autorizzazione dei superiori sui futures degli indici di Borsa. Rischia 5 anni e 375mila euro di ammenda se dovessero essergli riconosciuti tutti i capi d'accusa: abuso d'ufficio, falso e utilizzo del falso, introduzione fraudolenta in sistemi informatici.
Prima di interrogare l'imputato, il giudice ha passato in rassegna l'aspetto tecnico, anzi tecnicissimo della vicenda, dilungandosi sui vari strumenti finanziari con i quali operavano il trader e i suoi colleghi nel famoso desk Delta One. Un modo per dimostrare la sua padronanza - spiegando in dettaglio cosa sono i futures, i turbo warrant, le call option, le posizioni unidirezionali e altro - nei confronti di una materia ostica e che raramente è stata trattata nell'ambito di procedimenti penali.
Più avanti nell'udienza, l'imputato ha preso un po' di coraggio, aiutato dal suo difensore Olivier Metzner, che ha fatto proiettare su un grande schermo una pianta della sala di trading dove lavorava Kerviel: i trader non erano lontani l'uno dall'altro più di cinquanta centimetri: «Tutto si vede, tutto si sente», ha detto JK, aggiungendo che era «impossibile, se non al massimo per una giornata» passare ordini da miliardi di euro senza che nessuno se ne accorgesse. Kerviel ha detto di essere stato «incoraggiato» dai suoi capi e in ogni caso di non essere mai stato «frenato». La tesi della difesa è stata subito evidente: la gerarchia di Société Générale non poteva non sapere che cosa Kerviel stesse combinando. Se dovesse essere dimostrata con prove inequivocabili, allora la posizione dell'imputato potrebbe alleggerirsi (ma di quanto?) poiché la responsabilità delle perdite non sarebbe interamente a suo carico. Del resto il buco da 5 miliardi fu la risultante delle operazioni di vendita effettuate dalla stessa SocGen il 21, 22 e 23 gennaio 2008 per chiudere le posizioni aperte da Kerviel (50 miliardi di euro) e che pendevano come una spada di Damocle sulla solidità stessa della banca.