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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2010 alle ore 08:22.
Hanno provato a fare di necessità virtù, stemperando i troppi punti di discordia in un comunicato finale "tuttofare" dove si tenta di dare ragione a tutti. Addirittura di fondare la nuova governance globale del G-20 sulla sua stessa negazione: «Siamo decisi ad adottare misure concertate a sostegno della ripresa... misure che saranno diverse per ogni paese e terranno conto delle circostanze nazionali». Esattamente come i vari piani di consolidamento fiscale. Esattamente come la tassazione delle banche, «con alcuni paesi che la impongono e altri che scelgono un approccio diverso».
Mix di concertazione ed eterogeneità: la via sperimentale obbligata quando i soci del club sono tanti e tanto diversi tra loro. Se non ci fosse il precedente europeo, la dottrina dell'"unità nella diversità" deragliata nell'inefficienza decisionale e nell'irrilevanza politica, si potrebbe anche bene sperare. Le contorsioni conciliatorie della dichiarazione di Toronto in realtà sono durate il breve spazio intercorso tra la sua pubblicazione e le conferenze stampa dei vari leader.
«Nessun paese può pensare che il suo cammino verso il benessere sia lastricato di esportazioni negli Stati Uniti. Dopo anni di indebitamento eccessivo, gli americani non possono pagare e non pagheranno più per garantire la prosperità del mondo» ha avvertito Barack Obama. Chiarissima allusione alla Cina di Hu e alla Germania di Angela Merkel. Per mettere i puntini sulle "i" il presidente ha poi ricordato di puntare al raddoppio dell'export Usa nel prossimo quinquiennio e di essere «pronto a battersi in difesa di occupazione, industria e mercati americani».
La sua America insomma non farà nè aspetterà i comodi degli altri. Neanche sul Doha Round. Bene lo yuan flessibile, che sarà sottoposto ad attenta sorveglianza nei prossimi mesi. Bene anche il risanamento graduale di deficit e debiti, con tanto di target al 2013 e 2016 che però si limitano a fotografare impegni già presi da Europa e Stati Uniti lasciando fuori il Giappone per le sue... peculiarità specifiche (indebitamento oltre il 200%). Però «la ripresa resta la priorità delle priorità».