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Bilancio dei primi sei mesi di Borsa, in balìa del debito ora si teme per la ripresa

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2010 alle ore 21:03.

Se avessimo fotografato il primo semestre solo 9 giorni fa, avremmo detto che le cose non erano andate così male. Wall Street era in pareggio e lo Stoxx guadagnava il 2%, dopo quello che è successo sui debiti sovrani in Europa. A distanza di soli nove giorni, sembra sia cambiata un'epoca: perché la crisi dei debiti pubblici persiste. Ma nel frattempo s'è fatta strada la consapevolezza che la crescita economica non sarà affatto forte come si pensava e più di un economista comincia a temere una doppia caduta: insomma un ritorno della recessione dalla quale credevamo d'essere usciti nella scorsa estate.

Gran parte del semestre s'è consumato nella speranza, anzi nella convinzione, che la ripresa sarebbe stata come tutte le altre volte negli ultimi 30 anni: rapida e robusta da far crescere il Pil Usa al 5-6%, come aveva fatto credere il quarto trimestre 2009. E doveva essere forte la ripresa per giustificare un rialzo di Wall Street che, ad aprile, aveva toccato l'80% (72% per lo Stoxx), dai minimi del marzo 2009. Gran parte del semestre è trascorso in un moderato ottimismo e talora addirittura in una sorta di incosciente euforia: come tra marzo e aprile negli Stati Uniti, quando gli investitori si comportavano come se la crisi dei debiti sovrani fosse cosa che non poteva e non li doveva riguardare. L'errore più grosso in cui sono caduti gli economisti dei grandi broker è stato di credere che l'economia stesse crescendo per meriti propri e non per gli incentivi fiscali dei governi, per i finanziamenti delle banche centrali a tassi quasi a zero, per gli acquisti di titoli di stato e di bond cartolarizzati da parte della Fed. Oltre che per la semplice ricostituzione delle scorte, come avviene nella prima fase di una ripresa.

Questo secondo semestre s'è aperto invece con minori speranze: non proprio nel segno del pessimismo, ma certo con lo spirito di chi sta subendo una delusione. Le previsioni degli operatori sono ancora buone e mediamente puntano a rialzi dei listini del 10-15% per fine anno: più temperati di quelli che si stimavano a inizio anno. Ma si tratta di esercizi dettati per lo più dal desiderio o da un'inerzia del precedente ottimismo. In realtà l'incognita sull'andamento economico nel 2011 diventa sempre più grande. Perché, anche non volendo prendere in considerazione le previsioni più cupe, quelle di una doppia recessione o di una prolungata fase di depressione, come ha recentemente prospettato Paul Krugman, è probabile che l'economia cresca a ritmi dimezzati rispetto alle riprese che si sono susseguite negli ultimi trent'anni. E di nuovo s'imporrebbe la terapia degli incentivi fiscali e monetari, sempre più difficile da somministrare con i debiti ormai alle stelle.

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E se il Pil dovesse crescere attorno al 2,5%, anche le stime sugli utili societari andrebbero riviste al ribasso. Se davvero si prospettassero anni di crescita "anemica" per le economie avanzate, dovrebbe aumentare il premio che gli investitori s'aspettano dal mercato azionario. In altre parole, si pretenderebbero rapporti tra prezzo e utili più bassi di quelli visti negli ultimi decenni. Diciamo che un rapporto di 12 volte per l'indice S&P (o per lo Stoxx) sarebbe più che giustificato. E allora non ci sarebbe spazio per far crescere le borse, visti i numeri del consenso sugli utili del 2011. Ammesso che quelle stime non pecchino di ottimismo.

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