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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2010 alle ore 09:09.
L'ultima modifica è del 07 luglio 2010 alle ore 11:16.
Con gli articoli del 3 e del 4 luglio Il Sole 24 Ore ha avviato un interessante dibattito su vantaggi e svantaggi derivanti dall'eventuale adozione della Fit (Financial transaction tax) che estende l'idea originaria della Tobin Tax dalle transazioni su valuta a tutte le transazioni finanziarie.
Le risposte degli economisti intervistati confermano che dopo la crisi finanziaria il consenso verso questa proposta è cresciuto anche tra gli addetti ai lavori e le istituzioni internazionali. Si sono dichiarati a favore (con oscillazioni) gli esecutivi di Francia, Germania e Regno Unito, mentre il Belgio ha da tempo votato una legge a favore della proposta.
Il secondo articolo, di Roberto Perotti, si è concentrato sulle finalità della tassa sottolineando come la stessa non sia lo strumento adeguato se gli obiettivi sono quelli di ridurre la leva finanziaria delle banche, la tendenza delle banche molto grandi a prendere rischi eccessivi, la probabilità della formazione di nuove bolle finanziarie (da risolvere con appositi cambiamenti di regole e governance).
Incerto anche il rapporto tra Tobin tax e volatilità per le ripercussioni della stessa sulla liquidità dei mercati. Va però considerato che la tassa, sicuramente, frenerebbe il comportamento di chi opera sui mercati con orizzonte brevissimo con molteplici operazioni di acquisto e vendita, ciascuna con piccoli margini di guadagno, concluse spesso in pochi minuti sugli indici di titoli derivati (in gergo gli scallpers).
Esistono però due motivazioni più forti per le quali è difficile dubitare quanto a coerenza ed efficacia.
La prima è la sua capacità di raccogliere ingenti somme per il finanziamento dei beni pubblici globali. Secondo i calcoli di alcune ricerche recenti (Schulmeister 2008 Wifo), una tassa minima (dello 0,05%), se imposta a livello globale, raccoglierebbe circa 655 miliardi di dollari al netto dell'elasticità della domanda, ovvero pur considerando la riduzione attesa delle transazioni a seguito dell'applicazione della tassa. Si tratta di una somma simile a quanto si potrebbe ricavare da un'Iva sulle transazioni finanziarie, un'imposta sul valore aggiunto dalla quale esse sono attualmente esenti a differenza delle transazioni reali.