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Finanza e Mercati In primo piano

Dagli slum indiani a New York: il microcredito va a Wall Street

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2010 alle ore 14:48.


NEW DELHI
Quando, di qui a un mese, il numero uno indiano del microcredito si quoterà in borsa, mettendo sul mercato azioni per un valore compreso tra 250 e 350 milioni di dollari, per qualcuno sarà la quadratura del cerchio. Ecco una società che con una mano aiuta chi non ha abbastanza denaro per vivere e con l'altra dà ritorni interessanti a chi di soldi ne ha a sufficienza per poter investire nel mercato azionario. Perfetto no? No. Non per tutti almeno. Perché secondo una parte della comunità indiana del microcredito l'imminente quotazione di Sks Microfinance non testimonia solo che il settore dei prestiti ai poveri è diventato adulto. Ma anche che è cresciuto al punto tale da diventare qualcosa di incompatibile con le motivazioni che lo hanno fatto nascere.
L'uomo al centro di questa trasformazione si chiama Vikram Akula, ha 41 anni ed è il fondatore di Sks, una società di microcredito nata nel 1998 in seno al mondo del non-profit che cinque anni fa ha cambiato casacca e iniziato a distribuire utili. Akula ha tutte le caratteristiche per diventare un portabandiera di un nuovo modo di aiutare i poveri: è nato in un paese in via di sviluppo come l'India, ma ha studiato negli Usa grazie a una borsa di studio Fulbright; ha lavorato per McKinsey, ma ha mollato il mondo della consulenza per quello del non profit. Obiettivamente non è sexy come Dambisa Moyo, la ex Goldman Sachs autrice di «Dead Aid», ma come lei ha deciso di scrivere un libro, «A Fistful of Rice», per mettere nero su bianco le proprie tesi.
Che, va da sé, non tutti condividono. Soprattutto perché si fondano sul principio che per disporre dei capitali necessari a raggiungere una massa critica di clienti occorre rivolgersi a investitori più sensibili al fascino dei ritorni che degli aiuti. Con la conseguenza che i già elevati tassi d'interesse del microcredito (dovuti ai costi per accedere ai capitali, alle spese operative, alle delinquency rates e alla necessità di fare utili da reinvestire) nel caso di Sks raggiungono il 28%. Diciotto punti percentuali in più rispetto al costo con cui la società si finanzia sui mercati: troppi anche per chi sa quanto incidano le altre tre voci.

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Tags Correlati: Borsa Valori | Credito alle imprese | Dambisa Moyo | India | NYSE Euronext | Sks Microfinance | Stati Uniti d'America | Vikram Akula | Wall Street

 

Ad Akula va però riconosciuto il merito di avere portato una forte dose di efficienza nel settore della finanza ai poveri. Non è un caso che oggi il 77% dei clienti indiani del microcredito si appoggino al 2% degli operatori. Il problema, accusano i detrattori del modello Sks, è che la maggiore efficienza si è tradotta in ritorni più elevati per chi investe anziché in tassi più bassi per chi prende a prestito. Non solo. La ricerca di clienti «promettenti» avrebbe fatto sì che in questi anni certe zone del paese siano state ignorate mentre altre venivano bombardate di prestiti. Con il risultato da una parte di tradire lo spirito del microcredito e dall'altra di alimentare piccole bolle creditizie.
Argomenti sufficienti a fare della quotazione in borsa di Sks un'occasione preziosa per avviare una riflessione sui pro e i contro della mutazione genetica avvenuta nel mondo indiano del microcredito. In tempi brevi però. Quando tra un mese la quota in mano ad Akula varrà tra i 40 e i 55 milioni di dollari quelli disposti a ragionarci sopra a mente fredda saranno pochi.
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