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Finanza e Mercati In primo piano

Il rilancio passa dal venture capital

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2010 alle ore 08:05.

di Antonio Tognoli e Alessandro Sannini L'attività di venture capital nel nostro Paese non è particolarmente sviluppata, soprattutto rispetto ad altre nazioni europee e agli Usa. Riflettendo in maniera più approfondita sulle problematiche del venture capital in Italia, riteniamo sia di fondamentale importanza dare corpo a un sistema incentivante giuridico e fiscale.
Andrebbe creato in primo luogo uno strumento societario snello, flessibile e a basso costo per i neo-imprenditori. Una società a responsabilità limitata, sul modello della Limited di diritto inglese con gli evidenti aggiustamenti imposti dalle nostre leggi, che preveda dall'inizio contenuti costi di costituzione e di gestione. Lo strumento della società a responsabilità limitata è preferibile rispetto ad altre forme societarie pure previste dal nostro ordinamento, perché tutela l'imprenditore dalla possibile aggressione del suo patrimonio personale in caso di un insuccesso.
Parallelamente andrebbero incentivate le Investment company, attraverso una regolamentazione più snella e flessibile. Incentivi che potrebbero partire da una defiscalizzazione dei capitali destinati ad investimenti in start-up, fondi di venture capital e società di partecipazioni. La stessa attenzione deve essere riservata anche al controllo del funzionamento dei fondi di private equity regionali, con lo scopo di creare un rapporto tra pubblico e privato che consenta ad entrambi, ma alla fine al sistema Paese, il soddisfacimento dei diversi legittimi interessi.
In Italia ad oggi ci sono decine di milioni di euro di patrimoni fermi nelle casse dei veicoli finanziari pubblici che – in molti casi per poca capacità d'intervento dei gestori – non creano valore nè agevolano una ripresa economica. Da non sottovalutare la positiva ricaduta che gli incentivi fiscali avrebbero sul mercato del lavoro.
Il principio a ben vedere è semplice. Un pezzo del complesso puzzle per rendere la crescita italiana più virtuosa potrebbe essere messo dallo Stato mettendosi al fianco dei neoimprenditori, in modo da garantire loro una effettiva libertà economica all'interno di regole certe, condivise e rispettate.

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Per fare questo è ovviamente necessario agire su più fronti. Sebbene i mercati di capitale non vivano un momento felice, in un'ottica di promozione imprenditoriale, è necessario anche stimolare lo sviluppo delle piccole e medie imprese attraverso l'incontro fra domanda e offerta di capitali e l'accesso al mercato azionario. Nell'esperienza inglese tale mercato è l'Aim, che esiste da un paio d'anni anche in Italia, ma che per diversi motivi (non ultimo la mancanza di fondi destinati all'investimento in Pmi) non ha avuto il successo sperato.
È di questi giorni il dibattito sull'opportunità di costituire un'azienda con una semplice autocertificazione, posticipando i controlli dopo l'avvio dell'attività. Spesso infatti la lentezza della macchina burocratica italiana, unita agli elevati costi di start-up, hanno di fatto bloccato qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Questo ha creato una delocalizzazione degli investimenti italiani verso Paesi dove l'imprenditorialità è sostenuta con maggior vigore. Ma ha anche negato all'Italia gli investimenti esteri che la quinta potenza economica mondiale meriterebbe.
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