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Finanza e Mercati In primo piano

Derivati, perdite a 57 miliardi

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2010 alle ore 08:06.


Esplodono le perdite potenziali di chi ha stipulato un contratto derivato con le banche. Nel primo trimestre 2010, infatti, il valore di mercato (mark to market) passa a 57,5 miliardi, dai 47,9 del periodo 30 settembre-31 dicembre 2009. In pratica, sono quasi 60 i miliardi che 42.404 operatori (imprese, enti locali, famiglie, società finanziarie e resto del mondo) dovrebbero versare nelle casse delle banche italiane (o in quelle estere che operano nel nostro paese) nel caso in cui volessero o fossero costrette dalla congiuntura economica a estinguere anticipatamente il contratto di swap che li avrebbe dovuti invece coprire contro le variazioni dei tassi d'interesse.
I derivati delle imprese
Le imprese che hanno contratto derivati diminuiscono del 3,1% a 32.049 unità: le perdite complessive aumentano però del 10% a 7,1 miliardi. L'ammanco per le imprese, evidenziato mensilmente nella centrale rischi della Banca d'Italia produce un immediato peggioramento nella considerazione di queste imprese da parte di tutto il sistema bancario. In pratica, rende più difficile e costoso l'accesso al credito per le aziende che già sono in difficoltà in questo periodo nel reperire fondi per la normale attività d'impresa.
Enti locali e società finanziarie
Aumentano in misura preoccupante le perdite per le amministrazioni pubbliche e per le società finanziarie, che vedono i propri saldi salire rispettivamente del 10% e del 20% a 2,5 miliardi per le prime e a quasi 29 miliardi le seconde: il numero di amministrazioni pubbliche che hanno maturato perdite nei derivati scende invece da 470 a 404. Rimane il dubbio (che Bankitalia in passato non ha dissipato) che nella voce «società finanziarie» (somma perdite per oltre il 50% di tutto il sistema) possano rientrare attività economiche in qualche modo collegate con le amministrazioni pubbliche (per esempio con la costituzione di fondi fuori bilancio, oppure all'interno dei fondi di garanzia a fronte delle emissioni obbligazionarie, i cosiddetti sinking fund). La perdita degli enti locali, dunque, potrebbe essere ben più alta dei 2,5 miliardi accertati fino ad adesso.

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Tags Correlati: Banca d'Italia | Giampaolo Galiazzo | Pubblica Amministrazione | Rapporto tra cittadini e istituzioni |

 

Derivati di copertura?
I derivati stipulati con le banche italiane, dunque, non risentono particolarmente delle variazioni nei tassi d'interesse (si veda il grafico in basso). E così, dopo oltre un anno e mezzo dall'inizio dell'abbassamento dei tassi d'interesse (dal 5,27% del 30 settembre 2008 allo 0,64% del 30 marzo 2010), le perdite riprendono a crescere con vigore dopo essere calate nel trimestre 30 settembre-31 dicembre 2009 (si veda «Plus24» del 22 maggio scorso). «È possibile - spiega Giampaolo Galiazzo, della società di consulenza indipendente Tiche – che queste perdite potenziali siano riconducibili soltanto parzialmente alle variazioni dei tassi d'interesse e si compongano invece nel tempo per effetto delle commissioni caricate dagli intermediari sulle rinegoziazioni dei contratti in essere». Si tratta, in sintesi, di quelle che ormai vengono comunemente indicate come commissioni occulte. Infatti, ogni qualvolta una banca stipula con un operatore un derivato che ha una durata di più anni, carica sul contratto un costo pluriennale (che di solito non viene compreso dall'operatore).
Se poi il contratto viene rinegoziato più volte nel corso degli anni, di solito le banche non scontano le commissioni per gli anni di mancata durata del contratto, ma le compongono nel nuovo contratto (insieme alle nuove commissioni). «L'accumulo di questi costi - continua Galiazzo - rende le perdite collegate al contratto derivato relativamente insensibili alle variazioni dei tassi d'interesse e addirittura un Irs (considerato un contratto semplice chiamato anche plain vanilla) potrebbe produrre perdite crescenti». Cosa che sta effettivamente avvenendo.
m.frisone@ilsole24ore.com
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