Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 10:49.
Scrive il Gip: «I Burani mantengono ampie disponibilità patrimoniali, non utilizzate per il salvataggio delle imprese». Rispondono gli avvocati della famiglia: «Nessun tesoro, non esistono soldi all'estero». Il nodo più oscuro nel crack da 750 milioni di euro del gruppo di moda Mariella Burani è proprio questo: la famiglia fondatrice dello storico marchio, e soprattutto il padre Walter e il figlio Giovanni arrestati due giorni fa, avevano dei soldi personali all'estero con cui avrebbero potuto salvare il gruppo dal fallimento?
Varie testimonianze e intercettazioni telefoniche lasciano nei Pm Luigi Orsi e Mauro Clerici il ragionevole dubbio che la risposta sia positiva. Ma gli avvocati Giovanni Dedola e Stefano Borella, che ieri mattina hanno incontrato nel carcere milanese di San Vittore Giovanni Burani, lo negano. E, al «Sole 24 Ore», danno la loro prima versione su quelle telefonate. Domani Giovanni Burani sarà interrogato dal Gip. E già sabato, probabilmente, dagli stessi Pm.
Il cuore dell'inchiesta riguarda proprio il "tesoretto": esiste o non esiste? Per cercare di sbrogliare la matassa, i Pm dovranno fare luce su tutte le attività e sulle relazioni estere della famiglia. Di indizi – già ora – ce ne sono tanti. Per esempio: molti acquisti di azioni di Mariella Burani Fashion Group durante l'Opa del 2008 sono arrivati dal'estero. E poi: per realizzare l'Opa, lanciata dalla società Mariella Burani Family Holding, quest'ultima società è stata più volte ricapitalizzata anche con soldi di fondi esteri. Per esempio Abs Fund con sede alle Cayman. Ma le evidenze indicano che i soldi usati da Abs siano arrivati – sempre dall'estero – dagli stessi Burani. È lo stesso Francesco Acerbi, l'uomo che curava gli interessi patrimoniali della famiglia e anche socio del fondo Abs, a dirlo in interrogatorio: «I 13,6 milioni di euro che risultano investiti nell'Opa in realtà sono stati messi a disposizione da loro (vale a dire i Burani)». Tutto questo lascia presupporre che all'estero di soldi i Burani ne avessero. Almeno nel 2008.
E oggi? Alcune telefonate sembrano indicare che, da qualche parte, ci possano essere ancora. Per esempio quella del 6 novembre 2009 tra Giovanni Burani e un banchiere di Ubs. I due parlano di un bonifico da 20 milioni «sul conto del padre per uno smobilizzo che ha fatto lui». Gli avvocati difensori sostengono che «in quell'occasione Burani commentava una notizia apparsa su un giornale su fatti vecchi legati all'Opa». Questo andrà ovviamente accertato. E che dire dell'altra telefonata, del dicembre 2009, in cui Giovanni Burani contratta l'acquisto in contanti di un appartamento a Montecarlo? «Lui un appartamento ce l'ha da tempo», ribattono gli avvocati. Eppure, dalle intercettazioni, sembra che la trattativa riguardi l'acquisto dell'appartamento limitrofo.