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Intervista a Siniscalco: «Meno fisco sul risparmio»

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2010 alle ore 09:19.

«Il risparmio va messo al centro della politica economica e chi lo gestische deve porre i risparmiatori al centro della propria attività». Domenico Siniscalco non ha dubbi. Ex ministro dell'Economia, attualmente vice presidente di Morgan Stanley international e country head per l'Italia, cariche cui da qualche mese ha aggiunto quella di presidente di Assogestioni (l'associazione delle società italiane del risparmio), Siniscalco vede nella crisi innanzitutto una conferma delle teorie economiche ed anche della proverbiale oculatezza delle famiglie italiane.

«Le difficoltà stanno assottigliando i flussi di risparmio? Vuol dire che sta svolgendo la sua funzione precauzionale di ammortizzatore della crisi nei bilanci delle famiglie e delle piccole imprese». Ma se in questo periodo è difficile risparmiare di più occorre – spiega – «aiutare le famiglie a risparmiare meglio, un impegno che deve coinvolgere l'amministrazione pubblica al pari dell'industria del risparmio».

Iniziamo dallo Stato.
Il risparmio a lungo termine va incentivato. Nel futuro scenario pensionistico, la componente pubblica (il cosiddetto primo pilastro) è destinata a ridursi. La situazione diverrà più sostenibile per le finanze pubbliche ma progressivamente sempre più insostenibile per le famiglie. Ben venga un secondo pilastro (i fondi pensione) ma perchè non favorire anche possibilità individuali di accumulo? È tempo di una riforma strutturale della tassazione sul risparmio che, da un lato, introduca un'aliquota uguale su tutti gli strumenti (a gettito invariato) e dall'altro premi impieghi socialmente meritevoli come il risparmio a lungo termine, a prescindere dal prodotto. In questo modo, a fianco di pensioni pubbliche e fondi previdenziali, nascerebbero piani di rispamio individuali.

Come funzionerebbe l'agevolazione?
Un rispamiatore potrebbe allocare le sue diverse forme di investimento in un contenitore sul quale, superato una certo periodo (ad esempio 5 anni), godrebbe di un'aliquota agevolata. A fronte di un piano di risparmio ancora più lungo (10 anni) l'aliquota si potrebbe ridurre ulteriormente. Il titolare di un simile conto sarebbe libero, all'interno, di diversificare al meglio i propri investimenti e di cambiare le proprie scelte iniziali purchè, ai fini dell'aliquota agevolata, mantenga nel tempo l'ammontare dei suoi risparmi. A differenza delle trattenute di fine rapporto o dei piani di previdenza complementare non si tratterebbe di una forma di risparmio forzoso ma, piuttosto, di un risparmio volontario agevolato.

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«Il risparmio sia al centro della politica economica» (Emblema)

Tags Correlati: Assogestioni | Banca d'Italia | Consob | Domenico Siniscalco | Europa | Fisco | Giulio Tremonti | Mediobanca | Morgan Stanley international | Pubblica Amministrazione | Ucits4

 

In Usa i piani individuali di previdenza 401K hanno un incentivo fiscale immediato perchè le somme che vi confluiscono non entrano nell'imponibile fiscale. In Italia, dove invece le imposte sulle rendite si pagano con ritenuta alla fonte, l'incentivo agirebbe al momento del disinvestimento.
Proprio così. Non può sfuggire che, in questo modo, l'impatto sulla finanza pubblica non sarebbe immediato. Lo Stato rilascerebbe a termine le sue agevolazioni quando, auspicabilmente, la fase di difficoltà che stiamo attraversando sarà alle spalle. In prospettiva, insomma, vi sono vantaggi per tutti.

Fin qui l'amministrazione pubblica. E l'industria dei fondi?
Anch'essa deve cambiare, più che spingere i prodotti deve offrire soluzioni, aiutare i risparmiatori e compiere le migliori scelte d'investimento. Un recente studio di Mediobanca ha sottolineato che nel 2009 i gestori italiani hanno migliorato le performance dei fondi, battendo in molti casi i benchmark di riferimento. Ma non basta. Occorre promuovere la competitività del sistema Italia. La direttiva sui fondi comuni Ucits4 che sta per essere recepita, combinata con le distorsioni fiscali, rappresenta una sfida. Rischiamo di assistere ad una delocalizzazione dell'industria nazionale dell'asset management, con il paradosso che il risparmio italiano sarebbe gestito all'estero e pagherebbe le sue tasse all'estero.

Uno scenario funesto.
Il pericolo c'è. La nuova normativa fornirà un passaporto europeo alle sgr comunitarie che dunque saranno spinte ad insediarsi nei paesi più attraenti. Non è come nell'industria manifatturiera, la migrazione può essere molto più violenta. Trasferire un impianto aumobilistico all'estero è una scelta complessa, ma delocalizzare una struttura di asset managemente è molto più semplice. È quella "ricchezza senza nazioni" indagata in tempi non sospetti proprio dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti in un suo fortunato libro.
Quali sono i fattori di successo che rendono competitiva una piazza finanziaria?
Sono quelli che spesso non vengono visti come prioritari: la disponibilità di scuole internazionali, la qualità dei trasporti urbani, uno scalo aereo efficiente e ben collegato, la disponibilità di talenti da attrarre nel business. Milano, ad esempio, ha queste caratteristiche.

Che manca?
Rimangono gli squilibri normativi e fiscali che spesso spingono anche i gruppi finanziari nazionali a dislocare altrove le proprie "fabbriche" di risparmio gestito. Manca un disegno complessivo. È una migrazione che impoverisce l'Italia. Il paese del risparmio per eccellenza rischia di divenire importatore netto di prodotti finanziari fabbricati altrove».
Da anni l'industria italiana dei fondi comuni chiede di armonizzare al resto d'Europa il sistema di tassazione, di applicare l'aliquota del 12,5% non più sulle plusavelenze "maturate" giorno dopo giorno (incorporate nelle quote del fondo) ma al momento del disinvestimento, come accade appunto negli altri paesi del continente. Con il sistema attuale, tra l'altro, i gestori hanno accumulato un ingente credito di imposta (tecnicamente risparmio d'imposta), di ben 5 miliardi, che non dà rendimenti e penalizza i loro portafogli. La fine di questa discriminazione è al primo punto del programma di intervento sui fondi comuni scritto in comune nel 2008 da Banca d'Italia e Consob. Ma Siniscalco indica un'azione ancora più incisiva, una sorta di scudo per favorire il rimpatrio delle sgr traslocate all'estero. «Sarebbe auspicabile che le società del risparmio che decidono di rimpatriare in Italia strutture localizzate altrove possano continuare a fruire per una certo periodo dei benefici di cui godono nei paesi in cui si sono trasferite. Lungi dall'appesantire i conti pubblici una simile misura comporterebbe un aumento del gettito per imposte societarie che attualmente vengono versate ad altre amministrazioni. In un sistema aperto com'è quello europeo aliquote fiscali più elevate non generano più gettito ma soltanto distorsioni».

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