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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 14:32.
«Compratemi la bicicletta: vedrete, mi servirà a far soldi». Zona Navigli, inverno de1 1949. Il cielo sopra Milano sembra anice, tanto fitta è la nebbia. Fam, frecc, fum. Fame, freddo e fumo, ripetevano i giovani spazzacamini della Val Vigezzo, sopra Domodossola, per descrivere la loro condizione. Leonardo del Vecchio sottoscriverebbe. I capelli rasati a zero, le mantelline nere irrigidite dalla brina: sette anni passati nelle camerate gelide dei Martinitt, l'orfanotrofio dei milanesi, non si dimenticano.
A 14 anni, lui orfano di padre e con quattro fratelli da sfamare, vuol menare mani e piedi: inforca la bicicletta e dopo 61 anni sta ancora pedalando. Leonardo è ordinato e preciso, la sua scrittura rigorosa come una macchina per scrivere. Le suore dei Martinitt lo chiamano quando c'è da vergare una lettera in bella grafia. Alla Johnson di Milano, una fabbrica dove si incidono coppe e medaglie, quella meticolosità è preziosa. Incisore è il suo primo mestiere.
Cinque giorni fa ha inciso una semestrale da incorniciare. Luxottica, la sua prima fabbrichetta a forma di disco volante messa su ad Agordo nel 1961, quaranta chilometri in salita di zigzag tra i fiordi dolomitici dopo essersi lasciati alle spalle l'ultimo casello delle patrie autostrade, ha chiuso i primi sei mesi dell'anno con un utile netto di 245,1 milioni di euro, in aumento del 26,3% rispetto allo stesso periodo del 2009. I ricavi hanno sfiorato i tre miliardi (2,986 miliardi per la precisione) e verosimilmente veleggiano verso i sei miliardi nei 12 mesi. In quella fabbrichetta cominciarono a costruire montature di occhiali Leonardo, Luciana, la prima moglie, e uno dei suoi quattro fratelli. Nel 1968, quando ingaggia il suo capo officina, Luigi Francavilla, che ancora oggi dirige la fabbrica agordina, Leonardo si presenta comunicando al neo assunto che in officina ci sono sette operai. Francavilla li conta ma in realtà sono solo sei. «Dov'è il settimo?» chiede a Del Vecchio. «Eccomi, sono io» risponde Leonardo.
Ora agli ordini di Francavilla, ad Agordo, di dipendenti ce ne sono 3.500. Il sindaco Renzo Giavaz non sa più quale montagna piallare per scovare un metro quadro in più degli 82mila rubati pietra dopo pietra alla frazione di Valcozzena. Ormai le fabbriche italiane sono sei, cinque nel Nordest, una a Torino (la ex Persol). Altre due in Cina, a Dongguan, nella regione del Guangdong, la Agordo del Paese di Mezzo, e poi India e Usa. In totale fanno 60 mila dipendenti nel mondo, 40.600 dei quali gli occhiali non li costruiscono ma li vendono (Usa e Canada generano da soli il 60% dei ricavi di Luxottica group), Australia e Cina. Se qualcuno si chiedesse come mai Luxottica sia diventato il primo marchio mondiale nella produzione e vendita di occhiali è dal retail che deve partire. O per dirla con il linguaggio degli economisti, dalla verticalizzazione. «Dal produttore al consumatore», si diceva ai tempi di Carosello. E quando nel 1995 Del Vecchio compra negli Usa la più grande e capillare catena americana di negozi, la LensCrafters, gli analisti si affannano a ripetere che è una mossa troppo azzardata per un gruppo che solo cinque anni prima si è quotato al New York Stock Exchange (alla Borsa di Milano arriverà solo dieci anni dopo). Del Vecchio, col suo sguardo sornione, rispose senza enfasi: «Azzardo? Il rischio non si addice al mio carattere». Già, il brivido del rischio non appartiene al secondo uomo più ricco d'Italia, alle spalle di Michele Ferrero, il signor Nutella, e davanti Silvio Berlusconi nelle classifiche 2010 di Forbes.