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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 07:59.
Lo spettro di una nuova crisi alimentare – tornato ad incombere sui mercati dopo il recente rally del grano – ha riacceso i riflettori sull'industria dei fertilizzanti, rilanciando con forza il processo di consolidamento già avviato nei mesi scorsi. Il gigante minerario Bhp Billiton ha sfidato ieri il numero uno mondiale dei sali di potassio, la canadese Potash Corp of Sasckatchewan, con un'offerta ostile da 38,6 miliardi di dollari in contanti, subito respinta al mittente come «grossolanamente indeguata», addirittura «un tentativo di furto» per il ceo Bill Doyle.
Appena ventiquattr'ore prima un altro big canadese del settore, la Agrium – impegnata fino a pochi mesi fa nella battaglia per la conquista della concorrente Cf Industries (poi fusasi con Terra) – aveva offerto 1,1 miliardi di $ cash per Awb, ex monopolista dell'export di frumento australiano, finito in disgrazia dopo lo scandalo Oil for Food, in cui emersero tangenti pagate al regime iracheno di Saddam Hussein.
Messa a dura prova dalla liberalizzazione decisa da Canberra nel 2008, che ha fatto nascere almeno una ventina di esportatori concorrenti, Awb vanta oggi come principale punto di forza un'estesa rete di vendita di prodotti per l'agricoltura, che Agrium – ha spiegato ieri il ceo Mike Wilson – spera di utilizzare come «base per la futura espansione nella regione Asia-Pacifico». Sempre che riesca ad aggiudicarsi l'acquisto. Awb è infatti oggetto di un'altra Opa (tutta in azioni e di valore più basso di circa un terzo) da parte della connazionale GrainCorp. E secondo gli analisti è probabile che possa attirare l'attenzione anche di Viterra, trader canadese di cereali, che l'anno scorso ha rilevato l'australiana Abb Grain. Senza contare il fatto che la stessa Agrium potrebbe diventare oggetto di scalata: le sue azioni ieri salivano di oltre il 5%, trainate in rialzo – come tutti gli altri produttori di fertilizzanti – dalla scalata di Bhp a Potash Corp.
La stessa Potash si è impennata del 25%, superando di una dozzina di dollari a Wall Street il prezzo dell'offerta (130 dollari per azione). Il board della società canadese, pur avendo immediatamente predisposto una «pillola avvelenata», che evita l'accumulo di quote di capitale superiori al 20%, non è totalmente contrario all'ipotesi di una cessione. «Non sto dicendo che ci opponiamo a una vendita – ha precisato il ceo Doyle – Ma certamente ci opponiamo a un furto della società». Affermazioni che rafforzano l'idea, già radicata tra gli investitori, che ci sarà un rilancio: da parte della stessa Bhp, o magari da qualche altro colosso minerario. Come Rio Tinto, oppure Vale.