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Finanza e Mercati Azioni

Le nuove tappe della corsa asiatica

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2010 alle ore 09:53.

Correva l'estate del 2005. I cinesi volevano acquisire la californiana Unocal, che aveva forti asset in Asia. Ma una rivolta del Congresso Usa sconsigliò la Cnooc di insistere sulla sua offerta da 18,5 miliardi di dollari e di fronte agli umori protezionistici americani anche l'Eni decise di lasciar perdere: Unocal finì alla ChevronTexaco. Cinque anni dopo, non è un tabù che una società statale asiatica possa lanciare persino un'Opa ostile su una compagnia occidentale nel delicato settore delle risorse energetiche.

Seul non è Pechino, ma il dinamismo sudcoreano ha già dato dimostrazioni di come certe società asiatiche possano diventare concorrenti irresistibili nell'incrocio tra forza finanziaria e supporto politico. Il 2009 si è chiuso con il maxicontratto da 40 miliardi di dollari per la costruzione di centrali nucleari negli Emirati Arabi, strappato dai coreani dopo la discesa in campo dello stesso presidente Lee Myung-bak che ha lasciato con un palmo di naso gli americani di Ge, i giapponesi di Hitachi e i francesi di Areva. Dopo aver fallito vari tentativi di acquisizione (compresa, nel 2007, quella della britannica Burren, finita all'Eni), i manager della Knoc sono sotto pressione da parte del governo, che esige di portare da 130mila barili al giorno a 300mila la capacità produttiva a controllo nazionale entro due anni e non lesina i mezzi. I soldi ci sono (Knoc ha in cassa 6,5 miliardi di dollari per lo shopping) e la politica preme per l'obiettivo strategico di accaparrarsi le fonti primarie necessarie a garantire l'ulteriore sviluppo economico: ecco allora che l'Opa ostile su una public company occidentale non diventa più una opzione da scartare per timorose considerazioni di opportunità.

La recente aggressività non riguarda solo la Corea né la sola industria petrolifera: l'Asia è uscita meglio di tutti dalla crisi globale e si presenta alle porte dell'M&A internazionale flettendo i suoi muscoli finanziari. La Cina ha una valuta sottovalutata ma riserve estere per circa 2.500 miliardi di dollari: nel primo semestre 2010 le sue acquisizioni estere sono salite del 52% a 23,1 miliardi di dollari, con il settore dell'energia in primo piano. Per esempio la Synopec (che l'anno scorso batté proprio i coreani della Knoc nel rilevare la britannica Addax Petroleum) ha preso una quota del 9% della canadese Syncrude da Conocophillips per 4,7 miliardi di dollari e Cic ha investito 1,2 miliardi in PennWest Energy; altri deal hanno riguardato materie prime in Australia e Africa. Il superyen, intanto, sta rilanciando la proiezione all'estero nel 2010 dei gruppi giapponesi, che finora hanno rilevato 92 aziende americane con 15,7 miliardi di dollari, 146 aziende in Asia (per 6 miliardi) e 63 in Europa (per 5 miliardi). Totale 27 miliardi di dollari, già superiori ai 21 miliardi del totale 2009: a fine anno il pronostico è di uno shopping nipponico oltre i 50 miliardi, vicino al record di 68 del 2008.

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Tags Correlati: Africa | Cic | Cina | Corea | Dimension Data | Eni | Knoc | Lee Myung-bak | Opa e Opv | Syncrude | Synopec

 

Se i colossi del trading sono in concorrenza con i gruppi statali asiatici nella corsa alle risorse energetiche, le società industriali giapponesi cercano di diventare globali nella consapevolezza delle ridotte opportunità sul mercato interno. Ed esplorano nuovi orizzonti, come l'Africa: la maggiore offerta di quest'anno è quella da 3,3 miliardi di dollari della Ntt sulla sudafricana Dimension Data.

Il mondo cambia. Sviluppi come i takeover ostili potranno dare fiato ai pessimisti – soprattutto negli Stati Uniti – che insistono sulle «global imbalances»: per loro è sconcertante che l'Asia, comprando buoni del tesoro Usa, presti i soldi ai consumatori occidentali per comprare i suoi prodotti e con il frutto della ruberìa di posti di lavoro faccia man bassa di risorse energetiche e aziende strategiche. Il petrolio e altre materie prime strategiche stanno sempre sul punto di congiunzione tra finanza e politica: assalti statali a società private, in questo settore, rischiano di far riemergere sentimenti protezionistici.

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