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Gli azionisti tedeschi: la governance è da rivedere

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 07:55.

La partita sul futuro di UniCredit è una partita italo-italiana? O italo-libica? O ancora italo-tedesca? Probabilmente tutte e tre. Sul fronte tedesco, la stampa in Germania ha dato voce negli ultimi giorni ai sentimenti contrastanti di un paese che apprezza la visione imprenditoriale di Alessandro Profumo, ma ne teme anche lo stile troppo deciso, proprio mentre si interroga sul futuro del suo sistema bancario.

Dietro alla crisi di questi giorni si nascondono elementi disparati. L'arrivo di azionisti libici nel capitale di UniCredit ha creato tensioni tra i soci. C'è chi ha paura di assistere a una diluizione del proprio peso specifico; chi teme che l'istituto sia ormai troppo internazionale e non sufficientemente italiano o tedesco; chi infine è convinto che gli investitori libici - la Banca centrale e la Libyan Investment Authority - siano un'arma di Profumo contro gli altri azionisti.

A giocare nel nervosismo di molti soci alla vigilia di una delicatissima riunione del consiglio di amministrazione questa sera a Milano sono stati anche i deludenti risultati di UniCredit negli ultimi trimestri, nonostante due generosi aumenti di capitale. Tra gennaio e giugno, la banca ha registrato profitti per 669 milioni di euro, quando nel frattempo Bnp Paribas, per esempio, ha messo a segno utili netti per 4,4 miliardi di euro.

In Germania poi non è piaciuto che l'attuale presidente del gruppo Dieter Rampl abbia scoperto dai giornali l'arrivo nel capitale della banca dei soci libici, ormai al 7,6% per cento. La Süddeutsche Zeitung, in una ricostruzione pubblicata sabato, ha definito Profumo un "Alleinentscheider", una persona che decide da solo. Apparentemente, l'amministratore delegato si è più volte dimenticato di informare il presidente di scelte strategiche o di novità sostanziali.

Per un tedesco la forma fa parte della sostanza di un rapporto personale. Rafforza tra le altre cose lo spirito di lealtà. È facile quindi immaginare il risentimento di Rampl in questa circostanza. È lecito però anche chiedersi se dietro l'apparente rancore del presidente non si possa nascondere anche la reazione di un banchiere che ha visto inevitabilmente il peso della propria ex banca, Hvb, diminuire poco a poco nel nuovo gruppo bancario.

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Tags Correlati: Alessandro Profumo | Banca d'Italia | Carlo Salvatori | Dieter Rampl | Europa | Fusioni e Acquisizioni | Hypo | Libyan Investment Authority | Lucio Rondelli

 

Come scriveva con un po' di amarezza qualche giorno fa la stessa Süddeutsche Zeitung «Monaco è stata fin dal 1835 la sede di grandi banche tedesche. Oggi ospita due istituti di credito in crisi e la filiale regionale di un gruppo italiano». BayernLB ha subito in pieno lo sconquasso finanziario come tutte le Landesbanken, mentre Hypo Real Estate è stata addirittura nazionalizzata dal governo federale e ha richiesto aiuti per 140 miliardi di euro.

Dinanzi alle incomprensioni tra il 53enne Profumo e il 63enne Rampl, c'è chi parla di un sistema di corporate governance che va rivisto. È un problema istituzionale o è invece una questione personale? Al momento della fusione tra UniCredito e Hvb si pensava che la suddivisione delle cariche tra Profumo e Rampl potesse funzionare. Non aveva forse funzionato in precedenza quando alla presidenza c'erano Lucio Rondelli o Carlo Salvatori?

Alcuni osservatori mettono l'accento proprio sull'aspetto personale e si chiedono quanto sia possibile per una grande banca europea, ma pur sempre vigilata dalla Banca d'Italia e con oltre il 40% del capitale in mani italiane, avere un presidente non italiano. L'interrogativo non è banale, né vuole nascondere una qualche vena sciovinista. In questo senso, la vicenda UniCredit è un test sul futuro tanto del capitalismo italiano quanto delle fusioni societarie in Europa.

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